mercoledì 30 dicembre 2009

2010

Auguri ai lettori di questo blog, che mi spingono a continuare a credere e a ricercare una via per l’informazione controcorrente.
Mi chiedo cosa vedremo il prossimo anno? Molto lo si può intuire, basta guardare le strane e anomale alleanze regionali o la perenne paralisi senza fine al comune, oppure osservando i disoccupati che silenziosamente continuano a crescere come aumenta l’illegalità spesso tollerata e alimentata da criminose scelte politiche. Si potrebbe continuare su questo percorso d’analisi ma è meglio non aggiungere altro perché ciò che vedremo lo continueremo a fare insieme, post dopo post, in questo diario scritto in soffitta. Alla ricerca di una città, di una regione e di un paese civili. E anche per il prossimo anno, auguri a noi tutti.

mercoledì 16 dicembre 2009

ricordare, ricordare

L'articolo che segue è di Claudio Fava e commenta in maniera efficace l'abbraccio mortale che potrebbe coinvolgere il centrosinistra siciliano, col bene placito di Bersani, e il governatore della Sicilia. Talvolta la sinistra ama farsi male da sola. Moretti docet. Buona lettura.

La memoria non è solo quella delle cose passate e perdute. E’ anche memoria degli uomini e dei loro gesti. La maledizione nostra è che di questa memoria non abbiamo nemmeno bisogno d’invocarne il furto: ce ne sbarazziamo da soli. L’offensiva di Berlusconi contro le inchieste siciliane di mafia, contro gli untori dell’antimafia e contro quegli infami dei pentiti non le abbiamo conosciute oggi per merito del pentito Spatuzza. Stavano già quindici anni fa sui giornali del cavaliere, in bocca ai suoi anchor man televisivi, appese come stelle filanti in ogni sua esibizione elettorale. Sembra invece che questo paese sia condannato a riavvolgere in eterno i nastri della propria storia, a ricominciare sempre daccapo nel difficile mestiere di capire perché.

Premessa necessaria per spiegare cosa sta accadendo in questi giorni in Sicilia. Detto in due parole: Raffaele Lombardo, governatore eletto da una coalizione di centrodestra, ha perso l’appoggio della sua maggioranza per questioni non proprio nobilissime (nomine di sottogoverno, assetti di potere, rimpasti d’assessori…). A tenere in piedi il suo governo ci pensano oggi una parte della PDL e il Partito Democratico, che si avvia vispo e giulivo verso l’appoggio esterno. Tranne poche eccezioni, dentro il PD chi si oppone lo fa perché a Lombardo preferirebbe un accordo con l’Udc. Cioè con Totò Cuffaro. Appena raggiunto da un avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa.

Ora, qui non è in discussione la legittimità politica di queste operazioni: il PD in Sicilia la pensa in un modo; chi scrive, nel modo opposto: ma questa è un’altra storia. E’ in discussione semmai la nostra memoria. Memoria recente, memoria concreta. Che va messa al riparo anche dal corto circuito della tattica politica: altrimenti, di che stiamo a parlare? Quando, settimane fa, in Campania si mossero gli incrociatori della giustizia per passare al setaccio le raccomandazioni della famiglia Mastella, ci furono editoriali spietati per spiegare che quel mercimonio di favori era la morte civile della politica, il malvezzo da cui tutto il resto discende, le conigliette a casa di Berlusconi, le stragi del sabato sera, l’impunità dei camorristi e dei mafiosi, un milione di cassintegrati: tutto. Nessuno si rammentò di un articolo dell’Espresso che raccontava certe scritture private e segrete di Raffaele Lombardo, allora presidente della Provincia di Catania. Non erano pizzini: era un bel tabulato in formato excel su cui il presidente Lombardo aveva annotato con sommo scrupolo tutte le regalìe, i favori e le affettuosità che aveva prodotto la sua amministrazione. Più che un promemoria sembrava un censimento: nome e cognome del beneficato, l’amico che raccomandava, la data, il favore richiesto, l’esito della supplica. Si scoprì che molte raccomandazioni arrivavano anche da sinistra (che tanto, si sa, teniamo tutti famiglia). Si seppe che erano state esaudite anche richieste più corpose di un’assunzione: che so, un certo appalto a una società, un certo incarico a una cooperativa… Dal palazzo di giustizia di Catania non si mossero gli incrociatori e nemmeno i pedalò. Nessuna inchiesta, nessuna domanda, nessun dubbio. Al massimo, il sapore compiaciuto di certi commenti, l’ammirazione per una furbizia che s’era fatta sistema, per quelle schedature che in campagna elettorale valevano oro, argento e mirra…

Oggi, per dar una verniciata di nobiltà agli scontri interni alla sua maggioranza, oggi se la prende con “il contesto politico ed economico nazionale sempre più sbilanciato verso gli interessi del Nord”: ma parliamo dello stesso Lombardo che appena un anno fa aveva affratellato i suoi valori a quelli della Lega? Il fustigatore che oggi se la prende con un governo strabico e ottuso è il medesimo Raffaele Lombardo che s’è fatto la campagna elettorale girando a braccetto con Calderoli? Parliamo o no dello stesso raffinato politico che organizza i defilè in piazza Montecitorio con il modellino gonfiabile del ponte sullo stretto, opera – dice il Lombardo – di primaria e insopprimibile urgenza per la Sicilia? E i suoi principali sponsor tra le file della maggioranza, gli onorevoli Gianfranco Miccichè & Marcello Dell’Utri, sono solo omonimi di quei due?

No, nessuna omonimia. Del resto, l’inciucio palermitano aveva avuto la sua prova generale sei mesi fa a Termini Imerese, quando a sostenere il candidato sindaco di centrodestra sul palco dei comizi si alternarono a lungo Raffaele Lombardo, Gianfranco Miccichè e Beppe Lumia. Oggi l’inciucio si chiama, con una sfumatura gogoliana, “appoggio esterno”. Un’operazione di alto calibro politico nell’interesse superiore dei siciliani, delle riforme, dello sviluppo e via recitando. Nessuna obiezione. Ma un prezzo da pagare, c’è: la nostra memoria. Su Lombardo, su Miccichè, su Dell’Utri. Venuti al mondo solo adesso, immacolati come santa Rosalia, martiri come sant’Agata. Basta crederci.

(Claudio Fava - L'Unità 12 dicembre 2009)

martedì 15 dicembre 2009

Io confesso

Ebbene sì, han ragione Cicchitto, Capezzone e Sallusti, con rispetto parlando. Inutile negare l’evidenza, non ci resta che confessare: i mandanti morali del nuovo caso Moro siamo noi di Annozero e del Fatto, in combutta con la Repubblica e le procure rosse. Come dice Pigi Battista sul Corriere, abbiamo creato “un clima avvelenato”, di “odio politico”, roba da “guerra civile”. Le turbe psichiche che da dieci anni affliggono l’attentatore non devono ingannare: erano dieci anni che il nostro uomo, da noi selezionato con la massima cura (da notare le iniziali M.T.), si fingeva pazzo per preparare il colpo. E la poderosa scorta del premier che si è prodigiosamente spalancata per favorire il lancio del souvenir (come già con il cavalletto in piazza Navona) non è che un plotone di attivisti delle Brigate Il Fatto, colonna milanese Annozero. Siamo stati noi. Abbiamo spacciato per cronaca giudiziaria il racconto dei processi Mills, Mondadori e Dell’Utri, nonché la lettura delle relative sentenze, mentre non era altro che “antiberlusconismo” per aprire la strada ai terroristi annidati nei centri di igiene mentale.Ecco perché non ci siamo dedicati anche noi ai processi di Cogne, Garlasco, Erba e Perugia: per “ridurre l’avversario a bersaglio da annichilire” (sempre Battista, chiedendo scusa alle signore). Ci siamo pure travestiti da leader del centrodestra e abbiamo preso a delirare all’impazzata. Ricordate Berlusconi che dà dei “co–oni” alla metà degli italiani che non votano per lui, dei “matti antropologicamente diversi dal resto della razza umana” ai magistrati, dei “golpisti” agli ultimi tre presidenti della Repubblica, dei fomentatori di “guerra civile” ai giudici costituzionali e ai pm di Milano e Palermo, dei “criminosi” a Biagi, Santoro e Luttazzi, che minaccia Casini e Follini di “farvi attaccare dalle mie tv” perché “mi avete rotto il ca–o” e invoca “il regicidio” per rovesciare Prodi? Ero io che camminavo in ginocchio sotto mentite spoglie e tre chili di cerone.Poi, già che ero allenato, mi sono ridotto a Brunetta per dire che questa “sinistra di me–da” deve “morire ammazzata”. Ricordate Bossi che annuncia “300 uomini armati dalle valli della Bergamasca”, minaccia di “oliare i kalashnikov” e “drizzare la schiena” a un pm poliomielitico, sventola “fucili e mitra”, organizza bande paramilitari di camicie verdi e ronde padane perché “siamo veloci di mano e di pallottole che da noi costano 300 lire”? Era Santoro che riusciva a stento a coprire il suo accento salernitano con quello varesotto imparato alla scuola di dizione. Ricordate Ignazio La Russa che diceva “dovete morire” ai giudici europei anti-crocifisso? Era Scalfari opportunamente truccato in costume da Mefistofele. E Sgarbi che su Canale5 chiamava “assassini” i pm di Milano e Palermo e Caselli “mafioso” e “mandante morale dell’omicidio di don Pino Puglisi”? Era Furio Colombo con la parrucca della Carrà. E chi pedinava il giudice Mesiano dopo la sentenza Mondadori per immortalargli i calzini turchesi? Sandro Ruotolo, naturalmente, camuffato sotto le insegne di Canale5. Chi si è introdotto nel sistema informatico di Libero e poi del Giornale di Feltri e Sallusti per accusare falsamente Dino Boffo di essere gay, Veronica Lario di farsela con la guardia del corpo, Fini di essere un traditore al soldo dei comunisti? Quel diavolo di Peter Gomez. Chi ha seviziato Gianfranco Mascia, animatore dei comitati Boicotta il Biscione? Chi ha polverizzato la villa della vicedirettrice dell’Espresso Chiara Beria dopo una copertina sulla Boccassini? Chi ha spedito a Stefania Ariosto una testa di coniglio mozzata per Natale? Noi, sempre noi. Ora però ci hanno beccati e non ci resta che confessare. Se ci lasciano a piede libero, ci impegniamo a non dire mai più che Berlusconi è un corruttore amico di mafiosi. Lui è come Jessica Rabbit: non è cattivo, è che lo disegnano così.
Marco Travaglio, da Il Fatto Quotidiano del 15/12/2009

venerdì 11 dicembre 2009

l'imperatore tiberio

una risposta in musica ed immagini di Daniele Silvestri al nostro super premier

domenica 6 dicembre 2009

La piovra strozzata


I libri e i pensieri servono a rendere liberi gli uomini e le denunce servono a svelare realtà che si ignorano o che si vorrebbero far ignorare. Lo scrittore Carlo Lucarelli, nell'articolo che segue pubblicato sull'"Unità", risponde alle dichiarazioni farneticanti del premier sugli scrittori di mafia. Articolo le cui idee condivido pienamente. Aggiungo che chi avesse in mente di strozzare, anche metaforicamente, scrittori e artisti, non può certamente essere considerato un leader liberale. Se mai avessimo ancora qualche dubbio.

Non si dovrebbe rispondere alle sciocchezze, soprattutto se sono grosse. E dire che bisognerebbe strozzare chi scrive i libri e le fiction sulla mafia perché crea un falso immaginario nuocendo all’immagine del Paese è una grossa sciocchezza, soprattutto se a dirla è il proprietario della tv e della casa editrice che quei libri e quelle fiction stampa e manda in onda. Sarebbe come dire che è meglio smettere di parlare di cancro e fare finta che non esista, se no all’estero pensano che siamo tutti malati.
Però, quando dice sciocchezze, il nostro presidente del Consiglio spesso si fa portavoce di cose che molta gente pensa, anche se a mio parere - e lo dico con rispetto verso quella gente che non ha l’informazione di un presidente del Consiglio - sbaglia. Perché è vero, sceneggiati come «La Piovra» o la fiction su Graziella Campagna - una ragazza innocente uccisa dalla mafia di cui non ci dobbiamo mai dimenticare - oppure libri come «Gomorra», parlano di mafia, ma parlano anche di antimafia, testimoniando il coraggio degli italiani nel denunciare un problema che esiste e cercare di risolverlo.
All’estero l’Italia è studiata anche per questo. Perché i Paesi che si trovano impreparati di fronte ad un problema globale come quello delle mafie - non solo italiane - è all’Italia che guardano per trovare metodi investigativi, leggi e anche “eroi” a cui ispirarsi. Questa è una bella Italia, e quando fiction e libri fanno bene il loro lavoro, questa è l’immagine del nostro Paese che passa.
Non quando si dice e si ripete che un mafioso come Vittorio Mangano è un eroe. Ecco, quella sì che è una brutta immagine che diamo del Paese. Quella sì che ci fa sembrare tutti mafiosi.
L'Unità, 4/12/2009 - Carlo Lucarelli

giovedì 3 dicembre 2009

diamoci un taglio

Dopo trenta lunghi anni di attese, annunci, ritardi e interminabili file per migliaia di automobilisti, finalmente giorno 9 dicembre aprirà l'ultimo tratto di autostrada Catania-Siracusa. La notizia non è questa però. La notizia è che poteva essere aperta qualche settimana prima, tutto era pronto. E invece si attenderà il solito politico per il solito taglio del nastro. Vergognamoci per loro, che non riescono a porre limite alla loro arroganza e prepotenza. Avrebbero dovuto chiedere scusa ai cittadini a nome della politica, e invece si permetteranno ancora una volta di fare festa e prenderci in giro. Vergognamoci per i lombardo, i berlusconi e tutta quella classe politica, siciliana e non, che fa e farà passerella ogni chilometro di strada che avrebbero il dovere di costruire e invece ci concedono come regalie da feudatari medievali. Questa è la nostra terra, sono le nostre strade. I castelli, la corte e i don rodrigo erano stati cancellati dalla storia. Ma questa è sempre un'altra storia.

sabato 14 novembre 2009

sartoria giudiziaria

Una lettera pubblicata da Roberto Saviano su repubblica.it, una risposta di buon senso per la difesa del diritto e della democrazia sempre più spesso a rischio solo per salvare un monarca da giusti processi.

Presidente ritiri questa legge
SIGNOR Presidente del Consiglio, io non rappresento altro che me stesso, la mia parola, il mio mestiere di scrittore. Sono un cittadino. Le chiedo: ritiri la legge sul "processo breve" e lo faccia in nome della salvaguardia del diritto. Il rischio è che il diritto in Italia possa distruggersi, diventando uno strumento solo per i potenti, a partire da lei.
Con il "processo breve" saranno prescritti di fatto reati gravissimi e in particolare quelli dei colletti bianchi. Il sogno di una giustizia veloce è condiviso da tutti. Ma l'unico modo per accorciare i tempi è mettere i giudici, i consulenti, i tribunali nelle condizioni di velocizzare tutto. Non fermare i processi e cancellare così anche la speranza di chi da anni attende giustizia.
Ritiri la legge sul processo breve. Non è una questione di destra o sinistra. Non è una questione politica. Non è una questione ideologica. E' una questione di diritto. Non permetta che questa legge definisca una volta per sempre privilegio il diritto in Italia, non permetta che i processi diventino una macchina vuota dove si afferma il potere mentre chi non ha altro che il diritto per difendersi non avrà più speranze di giustizia.
ROBERTO SAVIANO
link per firmare l'appello
http://temi.repubblica.it/repubblica-appello/?action=vediappello&idappello=391117

domenica 8 novembre 2009

sporcarsi le mani

Una lettera, un invito accorato di militanza e impegno per una terra. Scegliere tra la pulizia delle parole e il sudiciume della lotta politica. Questa lettera di Claudio Fava a Roberto Saviano è anche un invito a tutti i  cittadini che non si devono rassegnare a questa pessima Italia, senza una vera politica e in mano alle mafie, al malaffare e al potere per il potere. Un manifesto per il ritorno a una Politica da non lasciare più in mano a questa classe dirigente che fa rima con casalesi e corleonesi.

Caro Saviano,

due giorni fa a Napoli ho chiesto pubblicamente la tua disponibilità a candidarti per la presidenza della Regione Campania. Non è stato uno sgarbo né una forzatura ma una necessità civile. Perché a Napoli, fra qualche mese, ci giochiamo non solo il destino della tua regione ma un’idea di nazione. Chiamata stavolta a decidere di sé stessa: se pensa cioè di potersi riscattare dal giogo delle mafie e dei sospetti, dai furti di verità e di memoria, dall’impunità che s’è fatta sistema. O, altrimenti, se questo paese si è ormai arreso alla forza degli eventi, al corso inevitabile delle peggiori cose.
Il candidato che la destra quasi certamente presenterà si chiama Nicola Cosentino, sottosegretario del governo Berlusconi, uomo forte del PDL in Campania e «uomo a disposizione dei Casalesi», secondo le dichiarazioni di quattro collaboratori di giustizia, acquisite dalla Procura di Napoli. Falso, dice Cosentino. Vero, dicono i suoi accusatori. Possibile, dicono i giudici che l’hanno iscritto nel registro degli indagati. Chiunque al posto suo avrebbe fatto un passo indietro fino a che non fosse spazzata via l’ombra di un sospetto così lacerante. Chiunque: non Cosentino. Che continua a fare il sottosegretario e oggi si candida a governare la sua regione. Io c’ho i voti, fa sapere: e noi gli crediamo. Peccato che i voti da soli non bastino per restituire limpidezza alle storie degli uomini.
Che si fa, dunque, se Cosentino e il suo partito sceglieranno di sfidare il senso della decenza? Gli si contrappone un notabile di segno politico contrario? Si va in cerca d’un candidato comunque, purché abbia il cartellino penale pulito? Si derubrica questa elezione come un fatto locale, una cosa di periferia? E pazienza se poi colui che rischia di vincere andrà a governare in nome dei voti suoi e di quei sospetti... Io dico di no. E per questo, caro Saviano, se Cosentino dovesse candidarsi, ti chiedo di fare la tua parte accettando di candidarti anche tu.
Conosco già la tua obiezione che è stata anche la mia per molti anni: che c’entro io con la politica? Quando ammazzarono mio padre, pensai la stessa cosa: la mia vita è qui, mi dissi, continuare il mestiere suo e mio, scrivere, dire, capire. Perché la scrittura, una scrittura disposta a mettere in fila nomi e fatti, è un impegno civile capace da solo di riempire una vita. Vero. Poi però arrivano momenti della vita in cui capisci che ti tocca far altro. E fare altro, fare di più, a volte vuol dire la fatica della politica, affondare le mani e la vita in questa palude per provare a portarci dentro un po’ d’alito tuo, un po’ della tua storia, un po’ della tua sregolatezza, un po’ dei tuoi sogni. Non inventiamo nulla, caro Saviano.
Ci fu una generazione di ragazzi, nel ’43, costretti dalla notte all’alba a improvvisarsi piccoli maestri delle loro vite. Lasciarono le case, le donne, gli studi e per un tempo non breve si presero sulle spalle il mestiere della guerra. Se siamo usciti dalla notte di quella barbarie, lo dobbiamo anche a loro.
Anche questo è un tempo in cui occorre trovare il coraggio e la spudoratezza di fare altro. Di inventarsi altre vite. E di misurarsi con mestieri malati, com’è quello della politica. So che adesso qualcuno s’imbizzarrirà: che c’entra la resistenza con la lotta alle mafie? Che c’entrano i nazisti? Che c’entra Casal di Principe? Io invece credo che tu capisca. In gioco è il diritto di chiamarci ancora nazione. Quel diritto oggi passa da Napoli, dalle cose che diremo, dalle scelte che faremo. O dai silenzi in cui precipiteremo.

sabato 7 novembre 2009

potere d'acquisto

Due anni addietro, sorgeva un bellissimo aranceto fra il quartire Pigno e la Bicocca, un giorno di luglio, nel giro di qualche giorno, tutti gli alberi furono abbattuti. Dopo una serie di incendi, sicuramente dovuti all'autocombustione, dato che nonostante gli svariati interventi dei Vigili del fuoco, che non hanno pensato di segnalare alle autorità competenti.... le ruspe iniziarono a spianare il terreno. Due anni sono passati ed oramai il nuovo centro commerciale Auchan sta per aprire i battenti dominando il quartiere Pigno da un lato, ma non permettendo l'accesso ai pedoni, dato che non è previsto nessun accesso pedonale, anche se in linea d'aria di trova a 50 metri dalle abitazioni, e dall' altro lato l'areoporto e lo svincolo della Bicocca.
Mi pare doveroso ringraziare chi ha deciso di far sorgere tale centro commerciale, in quaranta anni la curva della morte che concludeva l'autostrada Catania Palermo, dove la Polizia Stradale potrà documentare il numero di incidenti verificati, finalmente è chiusa.
Ma non finisce qui, mica ci possiamo dimenticare della rotatoria di accesso alla bicocca, anche qui qualche morto ci è scappato, ed una lapide, adesso rimossa, ce ne ricordava qualcuno.
Anche in questo caso, grazie al Centro Commerciale, lo svincolo è attualmente chiuso, per permettere di lavorare e permettere un accesso facilitato ai futuri clienti.
In definitiva, quello che le istituzioni, ANAS e Provincia, la prima per l'autostrada , la secondo per l'asse dei servizi, non sono riuscite a fare in qualche decennio, il centro commerciale è riuscito a farlo in due anni.
Quindi abbiate pazienza ancora qualche mese, a breve ci sarà una nuova uscita della CT-PA che prima di immettervi nella città attraverso Via Gelso Bianco, vi permetterà di planare dritti dritti nel centro commerciale, ed il nuovo svincolo della Bicocca permetterà ai miei concittadini di arrivare comodamente, guarda caso nel centro commerciale, in 10 minuti dal centro città.
Ovviamente lo spirito di queste iniziative è tutto rivolto verso gli utenti, mica per assencondare le voglie del nuovo centro commerciale, è una pura coincidenza che tali opere siano coincise con il sorgere del centro commerciale.
Quindi alle prossime elezioni votate Auchan, Carrefour, IperCoop...
Privatizziamo le istituzioni e grazie al potere d'acquisto le opere pubbliche sarannno finalmente private ed avranno nuova linfa. Salvo Sottile

lunedì 2 novembre 2009

una vita d'amore

Una poesia in musica per chi come lei ha vissuto di note e versi, sublimando la propria esistenza dilaniata dall'incapacità di essere compresa per quel vivere la vita sempre ai margini della normalità. Vorrei ricordarla così, con la voce di Roberto Vecchioni, ricordarla in una terra che considera i poeti persone strane e poco commerciali, quindi clinicamente morte.

lunedì 26 ottobre 2009

il rovescio della medaglia

Un esempio di alta politica di chi da vent'anni lotta per strappare la propria terra all'illegalità. Un frammento di un'intervista chiara e diretta che lascia sperare che un'altra Italia è possibile, ripartendo qualche metro più in là dal potere.

venerdì 23 ottobre 2009

ironia della sorte

Un segno insopportabile del nostro tempo è la dilagante arroganza di chi ha il potere o di chi sente di respirare potere. I Mastella, vergognoso esempio di feudalesimo postmoderno, che attaccano magistratura e detrattori, con cieca aggressività e facendosi passare come filantropi e non pessimi mariuoli.
E più su fino al capo del governo che è l'arroganza fatta cerone, che vende se stesso come uomo buono e pulito attorniato solo da comunisti e farabutti. Tali esempi, che sembrano discendere direttamente dagli ultimi momenti politici del Craxi inquisito da Mani pulite, arrivano a contaminare giornalisti che si ritagliano spazi televisivi e popolarità grazie solo al livore e alla faziosità. Come sono lontani i tempi di Enzo Biagi, con la sua ironia pungente e sottile. Persino lo charme dell'Avvocato con le sue battute faceva pesare meno il suo denaro e il suo potere, rendendolo sopportabile anche nelle peggiori crisi sindacali. E giù giù fino ad Andreotti, all'uomo politico più ambiguo e pericoloso, che senza un filo di arroganza è andato a testa alta ad affrontare tutti i processi, udienza dopo udienza, fronteggiando accuse e testimonianze con il suo volto enigmatico e con le sue frasi ironiche che strappavano un sorriso, amaro, ma non consentivano spazio all'aggressività di parte, nonostante condanne e prescrizioni.
Rimpiangere Andreotti forse è un po' troppo ma questi sono giorni bui, forse i peggiori della nostra breve storia repubblicana. Arroganza dell'ignoranza. Si attacca, si urla nel nulla. Eppure occorrerebbe il silenzio della ragione, del buon senso che si posi leggero sul sorriso ironico che non ci faccia prendere troppo sul serio la fragilità di questi piccoli uomini.

lunedì 19 ottobre 2009

giovedì 15 ottobre 2009

le lombardiadi

Questi sono giorni in cui tutti corrono per candidarsi ad ospitare le olimpiadi del 2020 e il nostro governatore, l'impavido Alberto da Giussano del calatino, cavalca l’opportunità e senza avere alcuna idea di cosa possa essere organizzare questo evento, si lancia in questa avventura solo mediatica, senza alcuna reale possibilità di poter avere l’investitura del Coni prima e del Cio poi. Così esporrà Palermo, e la Sicilia intera, a questa ennesima brutta figura in cui si dimostrerà ancora una volta l’inadeguatezza della nostra classe politica, persino in cose semplici e di buon senso. Bastava lavorare seriamente a questo progetto, col concorso di tutti, senza improvvisare, senza dover a tutti i costi mostrare di essere dilettanti allo sbaraglio. Sarebbe stato opportuno avere un efficace progetto turistico, culturale e sportivo credibile. Non di certo con le nostre strutture sportive che sono fatiscenti, da terzo mondo, impresentabili persino per eventi di minore importanza e visibilità. Né potrebbe essere utile e opportuna un'altra colata di cemento su Palermo e sui siciliani. Ma forse Lombardo ha tenuto fede al detto olimpionico che l’importante è partecipare. Certo da qui al 2020 ne passerà acqua sotto i ponti, secondo Berlusconi persino lo stretto ne avrà uno. Ma questa è un’altra storia, dove l’improvvisazione e il dilettantismo talvolta trionfano.

giovedì 8 ottobre 2009

intervento di un lettore

Pubblico integralmente la riflessione di un lettore del blog pervenuta in redazione. Colgo l’occasione per invitare i lettori che volessero collaborare a inviare i contributi personali e i commenti all'indirizzo redazione.lasoffitta@gmail.com.

Sviluppo Economico, qualcuno come l'emerito Bondi è già sceso in campo per ribadire che l'intervento è sacrosanto, provo comunque a fare un ragionamento che esuli dalle mie convinzioni politiche (ammesso che ne abbia).
Perchè il ministro dello sviluppo economico, tale onorevole Scajola, debba occuparsi di chiamare a rapporto i vertici Rai per intervenire su Annozero? Cosa c’entra con lo sviluppo economico?
L'economia italiana è così florida da permettere al ministro deputato allo sviluppo di essa , di intervenire per aiutare il primo ministro a fronteggiare l'orda dei comunisti di Annozero (lungi da me pensare che ci sia un mandante o un preciso input del primo ministro)?
Sorvolando sull'opportunità di tale intervento, da contribuente (e che contribuente) chiedo al mio Governo, quanto mi costa?
Ecco voglio sapere solo quanto mi costa l'intervento di un ministro con scorta e staff, tutti a lavoro per evitare l'invasione bolscevica in TV, mica parliamo di utilizzi impropri di carta di credito ministeriali...
Non mi interessa neppure sapere perché la serie TV Dr. House veniva data dai promo in onda la Domenica per poi spostarla senza preavviso lo stesso giorno di Annozero, con l'evidente intento di togliere spettatori ai cattocomunisti di Annozero. E' pura coincidenza perché il nostro primo ministro ovviamente non ha peso sulla sua ex azienda guidata dal figlio ma pur sempre indipendente Pier Silvio.
Una curiosità mi rimane, evitando di commentare il rispetto mostrato per quei quattro straccioni che ancora guardano la TV commerciale con ore di Spot annesso, come hanno giustificato tale spostamento a chi paga gli spot? Chi vuoi che risponda ad uno che guarda tv commerciale, mica parliamo di sviluppo economico...Salvo Sottile


venerdì 2 ottobre 2009

condonati di vomito

Una valanga di fango ha sommerso vite, case, strade. Una valanga di fango che è stata originata da quei fiumi di denaro sporco, fetido che travolge ogni diritto di senso civico e di rispetto dell'ambiente antropizzato. Uomini spietati che rendono ogni cosa edificabile, sfruttabile. Interessi economici che trasformano terreni fragili come biscotti in zone perennemente cementificate. Tutti sapevano, tutti prevedevano ma nessuno è mai intervenuto. I responsabili, quelli veri, non saranno mai puniti, sono già fuggiti con la cassa. Si spenderanno giorni interi di parole, polemiche e pian piano si spegneranno le luci e si ritornerà a costruire, a rilasciare permessi e a divorare terra e natura. Una simile tragedia, dopo L'Aquila, Sarno avrebbe dovuto far dimettere amministratori, politici e tecnici dei comuni. Tutti resteranno al loro posto, anche alle prossime elezioni e a quelle ancora. Anche loro condonati dagli elettori. Siamo in Italia, basta una lacrima e tutto si perdona. Aspettando la rivincita che presto si riprenderà la natura.

senza soldi per i libri

Riflessioni su un pezzo di società sempre più in crescita raccontato in un acuto articolo da Marco Lodoli.

Finalmente ho comprato un televisore nuovo: quello vecchio era davvero vecchio, il telecomando era rotto e molti canali non si vedevano più, oscurati dalle nuove disposizioni. Non seguo molto la televisione, ma mi piace vedere qualche programma di informazione, qualche avvenimento sportivo, e qualche cartone animato insieme ai miei bambini.
La mattina in classe è passata la bidella per leggere un comunicato della presidenza che spiega come fare per ottenere il rimborso dei libri scolastici, quali documenti presentare e in che orari di segreteria. Bisogna essere tremendamente poveri per avere questa facilitazione: solo la famiglia che non supera i 10.650 euro annui ha diritto a un aiuto. Purtroppo molti dei miei studenti – insegno in una borgata romana affacciata sul Grande Raccordo Anulare – sperano in questo contributo statale; molti, troppi stanno sull’orlo della miseria o ci sono tragicamente già caduti dentro.
Ebbene, alla fine della lezione ho raccontato del mio acquisto: “Era ora, professò, nun se po’ campà senza er televisore, io senza nun ce starei manco un giorno, a casa mia li tenemo sempre accesi, dalla mattina fino a notte fonda.” E allora mi è venuta la curiosità di sapere quanti televisori hanno in casa i miei allievi. Dunque, quello che in casa ne ha di meno, ne possiede tre, “uno in sala, uno in cucina e uno naturalmente in cameretta mia”, ma molti ne hanno quattro, cinque, fino al record di Giada che ne può vedere sette, uno in ogni camera, compreso il bagno.
Quasi tutti sono abbonati a Sky o al digitale terrestre per avere la scelta più ampia. Mi è venuta una certa tristezza, sia pensando ai soldi ingoiati voracemente da quegli schermi piatti, sia a quanta solitudine passi attraverso questa moltiplicazione televisiva: ognuno ha il suo programma da seguire, non c’è più una Nazionale o un Rischiatutto che per una sera convogli genitori e figli sullo stesso divano, davanti alle stesse immagini. La televisione divora risparmi e affetti, i pochi denari di queste famiglie e la voglia di stare insieme, davanti all’unico altare ormai possibile.
da "Primo banco" di Marco Lodoli, 28/09/2009

mercoledì 23 settembre 2009

primo giorno

Esiste un fenomeno sempre crescente in questa italietta del malaffare e dell’illecito arricchimento costruito sullo sfruttamento del lavoro dei più deboli, dei meno tutelati che iniziano a divenire invisibili. Questo fenomeno consiste negli incidenti sul lavoro, solitamente mortali, che accadono diabolicamente il primo giorno di lavoro. E tutto scorre nell’ipocrisia generale. Chi crede davvero che questi operai, manovali, carpentieri subiscono un incidente proprio il primo giorno di lavoro? Queste morti sporche di lavoro nero sono un fotogramma fedele di una nazione che punta dritto a un ritorno a una società da prima rivoluzione industriale, in cui le tutele sul lavoro e sulla dignità del lavoratore vengono calpestate a vantaggio del profitto e dell’illegalità. La politica vara scudi fiscali e condoni e gli imprenditori costruiscono il loro sistema di evasioni quotidiane. Una lista di morti e di invalidi che lastrica la strada verso yacht e ville in Sardegna. Riusciremo ad assistere all’ultimo giorno di questi infiniti primi giorni di lavoro? In un’altra Italia.

lunedì 21 settembre 2009

emigrazione senza fine

In questi giorni di lutto e di tanta insopportabile retorica, dopo tante parole inutili, mi sono imbattuto in una riflessione profonda e obliqua di Roberto Saviano che ci riconsegna il vero volto di una nazione, che non ha mai risolto o voluto risolvere la questione meridionale. Uomini e volti che sono intorno a noi e che in giornate come queste, forse, sono dentro noi da sempre. Ieri con le valigie di cartone, oggi con le stellette.

Vengo da una terra di reduci e combattenti. E l’ennesima strage di soldati non l’accolgo con la sorpresa di chi, davanti a una notizia particolarmente dolorosa e grave, torna a includere una terra lontana come l’Afghanistan nella propria geografia mentale. Per me quel territorio ha sempre fatto parte della mia geografia, geografia di luoghi dove non c’è pace. Gli italiani partiti per laggiù e quelli che restano in Sicilia, in Calabria o in Campania per me fanno in qualche modo parte di una mappa unica, diversa da quella che abbraccia pure Firenze, Torino o Bolzano.
Dei ventun soldati italiani caduti in Afghanistan la parte maggiore sono meridionali. Meridionali arruolati nelle loro regioni d’origine, o trasferiti altrove o persino figli di meridionali emigrati. A chi in questi anni dal Nord Italia blaterava sul Sud come di un’appendice necrotizzata di cui liberarsi, oggi, nel silenzio che cade sulle città d’origine di questi uomini dilaniati dai Taliban, troverà quella risposta pesantissima che nessuna invocazione del valore nazionale è stato in grado di dargli. Oggi siamo dinanzi all’ennesimo tributo di sangue che le regioni meridionali, le regioni più povere d’Italia, versano all’intero paese.
Indipendentemente da dove abitiamo, indipendente da come la pensiamo sulle missioni e sulla guerra, nel momento della tragedia non possiamo non considerare l’origine di questi soldati, la loro storia, porci la domanda perché a morire sono sempre o quasi sempre soldati del Sud. L’esercito oggi è fatto in gran parte da questi ragazzi, ragazzi giovani, giovanissimi in molti casi. Anche stavolta è così. Non può che essere così. E a sgoccioli, coi loro nomi diramati dal ministro della Difesa ne arriva la conferma ufficiale. Antonio Fortunato, trentacinque anni, tenente, nato a Lagonegro in Basilicata. Roberto Valente, trentasette anni, sergente maggiore, di Napoli. Davide Ricchiuto, ventisei anni, primo caporalmaggiore, nato a Glarus in Svizzera, ma residente a Tiggiano, in provincia di Lecce. Giandomenico Pistonami, ventisei anni, primo caporalmaggiore, nato ad Orvieto, ma residente a Lubriano in provincia di Viterbo. Massimiliano Randino, trentadue anni, caporalmaggiore, di Pagani, provincia di Salerno. Matteo Mureddu, ventisei anni, caporalmaggiore, di Solarussa, un paesino in provincia di Oristano, figlio di un allevatore di pecore. Due giorni fa Roberto Valente stava ancora a casa sua vicino allo stadio San Paolo, a Piedigrotta, a godersi le ultime ore di licenza con sua moglie e il suo bambino, come pure Massimiliano Radino, sposato da cinque anni, non ancora padre.
Erano appena sbarcati a Kabul, appena saliti sulle auto blindate, quei grossi gipponi “Lince” che hanno fama di essere fra i più sicuri e resistenti, però non reggono alla combinazione di chi dispone di tanto danaro per imbottire un’auto di 150 chili di tritolo e di tanti uomini disposti a farsi esplodere. Andando addosso a un convoglio, aprendo un cratere lunare profondo un metro nella strada, sventrando case, macchine, accartocciando biciclette, uccidendo quindici civili afgani, ferendone un numero non ancora precisato di altri, una sessantina almeno, bambini e donne inclusi.
E dilaniando, bruciando vivi, cuocendo nel loro involucro di metallo inutilmente rafforzato i nostri sei paracadutisti, due dei quali appena arrivati. Partiti dalla mia terra, sbarcati, sventrati sulla strada dell’aeroporto di Kabul, all’altezza di una rotonda intitolata alla memoria del comandante Ahmad Shah Massoud, il leone del Panjshir, il grande nemico dell’ultimo esercito che provò ad occupare quell’impervia terra di montagne, sopravvissuto alla guerra sovietica, ma assassinato dai Taliban. Niente può dirla meglio, la strana geografia dei territori di guerra in cui oggi ci siamo svegliati tutti per la deflagrazione di un’autobomba più potente delle altre, ma che giorno dopo giorno, quando non ce ne accorgiamo, continua a disegnare i suoi confini incerti, mobili, slabbrati. Non è solo la scia di sangue che unisce la mia terra a un luogo che dalle mie parti si sente nominare storpiato in Affanìstan, Afgrànistan, Afgà. È anche altro. Quell’altro che era arrivato prima che dai paesini della Campania partissero i soldati: l’afgano, l’hashish migliore in assoluto che qui passava in lingotti e riempiva i garage ed è stato per anni il vero richiamo che attirava chiunque nelle piazze di spaccio locali. L’hashish e prima ancora l’eroina e oggi di nuovo l’eroina afgana. Quella che permette ai Taliban di abbondare con l’esplosivo da lanciare contro ai nostri soldati coi loro detonatori umani.
È anche questo che rende simili queste terre, che fa sembrare l’Afghanistan una provincia dell’Italia meridionale. Qui come là i signori della guerra sono forti perché sono signori di altro, delle cose, della droga.
Roberto Saviano, da Repubblica del 18/09/2009

domenica 13 settembre 2009

voglia di estremismo

Correre al centro, anche contromano. Sono anni che la spinta da sinistra si è arrestata per dare spazio e voce solo a linee moderate, filo clericali e poco moderne. È nato un conservatorismo di sinistra che ha tentato di intercettare voti e consensi di quei milioni di elettori senza ideologie o meglio con in testa il bisogno di vivere in un paese in cui sicurezza e denaro contano più di etica e progresso. E quando qualcuno ha detto qualcosa di “sinistra” è stato tacitato. Anni in cui la sinistra ha smesso di fare la sinistra e ha cominciato il rapido tracollo di consensi e di credibilità politica. E l'Italia con il vento del moderatismo è sprofondata nel vuoto assoluto, in un ristagno senza precedenti storici e senza alcun progetto per il futuro. Si sta costruendo un paese senza una vera scuola pubblica, privo di cultura, e le prossime generazioni avranno una vita sempre più precaria e incerta, con meno protezione statale e nel tempo anche familiare. Questo sarebbe il tempo di ritorno alla lotta, al radicalismo, a idee estreme che consentano di riprendere e riallacciare percorsi di crescita sociale e ricostruire il paese come dopo una guerra. Perché questo è un paese che è sotto un costante bombardamento sottoculturale e con derive razziste e lontano dalla linea di una grande democrazia europea. Questo dovrebbe essere il tempo in cui un leader progressista spinga la propria direzione politica verso posizione nette ed estreme, verso alleanze che portino idee innovative e non verso rendite di posizione. Una rivoluzione sociale e culturale che possa intercettare la voglia di un cambiamento profondo non solo sul piano politico-economico ma per la difesa di diritti che sembravano acquisiti e che invece vengono quotidianamente messi in discussione e costantemente depotenziati e svuotati. Una sinistra che si ricollochi a sinistra per evitare che scompaia del tutto e che si possa presto passare dalle protesta democratiche agli scontri di piazza. E forse questo sarebbe persino il male minore di una decadenza simile. Fare i moderati e copiarne metodi e posizioni è stato un suicidio, perché non ha creato una vera opposizione a questa deriva e non ha portato neanche un voto a sinistra, d'altronde chi voterebbe la copia se può votare uno smagliante originale?
Tempo di scelte: tempo di rivoluzione o tempo scaduto?

sabato 5 settembre 2009

scaglio la prima pietra

Da mesi il cattivo governo e la crisi economica hanno messo in ginocchio milioni di italiani, milioni di persone, che giorno dopo giorno perdono potere d’acquisto, dignità e pezzi dei propri sogni e desideri. Porte che si chiudono, speranze che si frantumano e una classe dirigente che blatera e che non rappresenta più questo nuovo immenso paese dentro il paese.
Giovani che non riescono a trovare un primo lavoro, sfruttati e forzatamente felici di riuscire a guadagnare elemosine senza alcuna tutela né contratto. Precari per la vita.
La scuola pubblica umiliata, con decine di migliaia di assurdi tagli al personale, risparmi sulla qualità dell’offerta formativa, docenti trattati da pedine da spostare di sede in sede, dimenticando continuità didattica, disagi e costi da sostenere per una mobilità mai richiesta. Nessun investimento in stipendi, in strutture scolastiche, in formazione. Nulla. Nessun investimento sulle nuove generazioni e sulla crescita del nostro paese.
E che dire degli operai, dagli insicuri cantieri edili dove spesso si lucra sul lavoro nero e sulle morti da cancellare in fretta e da ignorare, agli invisibili che perdono il lavoro in ogni settore per l’incapacità di manager plurimilionari e che scaricano i propri insuccessi sulle spalle dei lavoratori.
Banche che non sono più al servizio di idee imprenditoriali o a sostegno dei risparmiatori e dei piccoli investitori, ma che preferiscono prestare fiumi infiniti di denaro, spesso senza ritorno, alle solite industrie sostenute dalla mala politica e da una finanza che ingrassa solo se stessa con speculazioni sempre più vergognose.
Questo quadro, mancante peraltro di innumerevoli altri importanti tasselli, sembrerebbe porre le premesse per una imminente rivoluzione sociale, invece tutto tace, con pochi attutiti colpi di tosse. I media raccontano confondendo i fatti, disorientando più che informando. E gli egoismi di categoria fanno il resto, sotto gli sbadigli dei sindacati sempre più sulla difensiva e mai al contrattacco.
In una situazione storica come questa servirebbe un unico blocco sociale, una rivoluzione autentica che possa saldare interessi diversi nella forma ma simili nel contenuto.
Si gioca non solo il nostro futuro, ma quello dei nostri figli e nipoti, si gioca una partita decisiva fra un nuovo progresso sociale, etico ed economico su cui edificare un nuovo paese, differente dal moribondo di adesso che poggia su basi fradice e che si sorregge su cariatidi impresentabili e incapaci di risolvere le esigenze e le istanze dei nostri giorni.
Senza la dignità del lavoro, senza una scuola competitiva e priva di risorse umane ed economiche, senza leggi laiche che garantiscano i diritti di tutti i cittadini, senza il rispetto degli “ultimi”, siano essi migranti, omosessuali, poveri, non ci potrà mai essere uno stato democratico e moderno al passo con le nazioni più progredite e competitive.
Un blocco unico in cui ritrovare i visi dei ragazzi sfruttati dei call center e degli operai pericolanti arrampicati sulle impalcature, dalle maestre senza alunni agli alunni senza sogni, dai pensionati col frigo vuoto alle casalinghe senza spesa, e così via a riempire le strade, e a colorare queste spente città dove è più facile incontrare la rassegnazione che la speranza. Tutti sotto un unico striscione, senza sigle di categoria, per un’unica categoria, quella umana. Altrimenti pioveranno pietre, sempre più dure.

mercoledì 2 settembre 2009

eticamente corretto

un minuto di riflessione sul Che e sull'uomo di Eduardo Galeano

martedì 25 agosto 2009

la vera storia d'italia

Con piacere ospito l'articolo del magistrato-scrittore Giancarlo De Cataldo pubblicato sull'Unità di oggi, che evidenzia con efficacia quanto l'informazione che circola in Italia sia manipolata, faziosa e volutamente miope.

Ho fatto un giro su blog e siti di gente che non la pensa come me. Riporto ciò che ho letto: Don Giuseppe Diana non fu ucciso per il suo impegno contro i clan, ma perché custodiva armi. O, forse, per questioni di corna. Lo scrittore Saviano, che ne difende la memoria, di queste cose ne mastica poco: d’altronde, che cosa ci si può aspettare da uno come lui che per vendere qualche copia in più si è finto minacciato di morte dai Casalesi? Questa gente appartiene alla stessa genia dei Falcone - il giudice che si mise le bombe da solo all’Addaura e poi diede a un pentito suo protetto licenza di uccidere - dei Borsellino - che fece carte false per diventare Procuratore di Marsala e lucrare tutti gli indiscussi vantaggi dei Professionisti dell’Antimafia - e degli Impastato - quel terrorista capellone che saltò in aria mentre cercava di sabotare un treno.
Sono anni che un manipolo di sedicenti “intellettuali” di sinistra e qualche prete che farebbe meglio a sostituire alla toga il Libretto Rosso di Mao continuano a spacciare frottole per verità. Per fortuna, da un po’ il vento è cambiato. Sempre più persone «non la bevono», hanno finalmente capito di essere state ingannate da un’ossessiva e ridicola propaganda. E si vanno convincendo della necessità di riscrivere la storia d’Italia. Ora sanno che a Portella della Ginestra i contadini rossi esagerarono con i mortaretti. Sanno che il bandito Pisciotta e il banchiere Sindona soffrivano entrambi di una malattia alquanto diffusa nella Sicilia occidentale: l’allergia alla caffeina. Sanno che l’anarchico Valpreda fece saltare la BNA di Piazza Fontana e che il 2 agosto ’80 a Bologna - capitale dell’Emilia Rossa - non si vedeva in giro un camerata che è uno. Sanno che mafia, camorra e ’ndrangheta sono invenzioni di spregiudicati sceneggiatori e registi di Hollywood. Interessante, non vi pare?

venerdì 21 agosto 2009

la triplice intesa

Mi chiedo, ultimamente con maggiore frequenza, servono ancora i sindacati così come sono? Sia chiaro riconosco il valore storico dei sindacati, le battaglie per i diritti dei lavoratori, il prezzo elevato pagato dai sindacalisti in termini anche di vite umane oltre che quello morale e spesso economico, per le ritorsioni dei “padroni”, con la conseguente perdita del posto di lavoro.
La società oggi purtroppo ha preso un’altra via, il liberismo occidentale sempre meno incline a regole e leggi ha trionfato ai danni dei lavoratori grazie anche a un sindacato miope e più interessato a convivere col potere più che a lottare contro di esso, a cogliere i benefici di stare tutti a tavola per evitare guerre e barricate. Ma questi sarebbero tempi di lotta dura, di riconquista di diritti sempre più lesi e sempre meno garantiti. Sono tempi in cui è il sindacato che pronuncia parole quali flessibilità e precarizzazione. Di un sindacato così, non ne abbiamo bisogno.
Non abbiamo bisogno di un sindacato che come unica arma di contrasto ai governi utilizza la modalità dello sciopero, più o meno negli stessi periodi dell’anno e con le medesime modalità di risposta. Possibile che non ci sia altro mezzo di lotta alle politiche governative che non sia quella di far pagare ai lavoratori le giornate di lavoro per sciopero? Possibile che non si possa trovare un altro sistema? Inoltre, lo sciopero con le regole introdotte negli ultimi anni, col bene placito delle maggiori organizzazioni sindacali, è un’arma spuntata in partenza perché non crea disagi a nessuno visto che deve essere concordato prima e rispettando normative a vantaggio esclusivo degli utenti. Tutti noi ricordiamo gli scioperi selvaggi e a oltranza francesi, il blocco unico delle categorie per difendere anche soltanto i diritti di lavoratori poco tutelati. E i governi messi in ginocchio e costretti a tornare indietro. Ma vi immaginate in Italia milioni di persone che scendono a bloccare il paese per difendere i diritti lesi, per esempio, dei lavoratori dei call center? Siamo sicuri che dietro a tutto ciò non vi sia un’enorme colpa di conduzione della politica sindacale?
Un sindacato di governo o di effimera opposizione non è quello che serve in un paese come il nostro. Bisognerebbe avere un sindacato che ritorni ad avere idee e ideali, perché senza questi non si fa politica per i lavoratori ma solo politica spesso opportunistica.
Frequento il mondo sindacale da moltissimi anni e, salvo rare eccezioni peraltro marginali, non vedo fra sindacalisti persone preparate, motivate e che credono davvero in ciò che fanno. Si incontrano tanti inutili burocrati e nessun Rizzotto o Di Vittorio. E gli iscritti lo fanno più per consuetudine e per “non si sa mai che può succedere” che per convinzione e ideali.
Fra poco più di un mese inizierà il solito autunno caldo promesso dai sindacati. Immagino già una grandissima manifestazione a Roma, forse persino uno sciopero generale, interviste, canti, slogan, manifesti, fischietti e tanta vetrina per i leader, per poi il giorno dopo ritornare tutti a lavorare in condizioni sempre peggiori. Ancora qualche mese e sapremo se questo è un post pessimista o solo realista.

domenica 16 agosto 2009

decadentismi

Raccogliamo l'invito a diffondere sulla rete questa lettera anonima inviata a Tecnica della Scuola, che fotografa l'avvilente scenario imminente non solo per i docenti e gli studenti della scuola pubblica ma per il futuro dell'intera nazione.
"Nella calura agostana e nell'assordante silenzio mediatico il Governo sta per produrre il più grande licenziamento di massa nella storia della Repubblica. Da settembre ci saranno quasi 17 mila cattedre in meno per gli insegnanti precari. Tra pochi giorni, contando anche il taglio dei bidelli e degli amministrativi, ci saranno più di 20.000 disoccupati ad aggiungersi all'esercito crescente dei senza lavoro italiani. Le classi avranno meno docenti ma più alunni e saranno dunque a rischio sicurezza. Si prevede infatti che le classi dall'anno prossimo saranno mediamente composte da 26 bambini al­l’asilo, 27 alle elementari e 30 in medie e superiori con­tro una media europea di 15-20 studenti. Nonostante queste cifre il Ministro va da tempo ripetendo che in Italia ci sarebbero più insegnanti per studente rispetto alla media europea (una vecchia mezza verità, infatti non viene spiegato che nella conta questi signori mettono anche gli insegnanti di sostegno che in Europa non esistono, dato che il nostro è l'unico paese che ha fatto la scelta dell'integrazione dei diversamente abili nelle classi. Di fatto però le nostre sono le classi più affollate d'Europa). La scuola viene colpita come mai è stato fatto dal dopoguerra ad oggi e i mezzi di comunicazione parlano di realtà scolastica solo in riferimento alla pittoresca proposta leghista dei test di dialetto per i docenti, tutti i telegiornali riportano la decisa condanna della Chiesa della sentenza del Tar Lazio che preclude gli scrutini agli insegnanti di religione ed esclude l'ora di religione dalla valutazione globale degli studenti (dopo mesi di torpore la Santa Sede torna a condannare).I mass media danno risalto alla notizia del ricorso del Ministero contro la sentenza del Tar Lazio sugli insegnanti di religione. Mentre migliaia di docenti precari stanno per essere cacciati dalla scuola la preoccupazione della Gelmini è quella di mettersi subito sull'attenti per la Santa Sede e ricorrere a favore dei colleghi di religione che non rischiano nulla. La Gelmini ha affermato: “L'ordinanza del Tar tende a sminuire il ruolo degli insegnanti di religione cattolica, come se esistessero docenti di serie A e di serie B”. E i 17.000 docenti precari che verranno cacciati via il mese prossimo cosa sarebbero? Docenti di serie C? Il Ministro lo sa che i precari di religione sono gli unici tra i docenti precari ad avere lo stipendio assicurato e gli scatti di anzianità? Un licenziamento di massa nel settore più importante del Paese e nessuno alza la voce. Questo è davvero uno strano Paese."

martedì 4 agosto 2009

cattivi maestri

Dimenticare è un po’ come far morire di nuovo e cancellare uomini che in maniera diretta e indiretta ci hanno reso migliore la vita o lo sguardo su di essa. Sono trascorsi poco più di cinque anni dalla morte di Carlo Muscetta, uno dei veri maestri che sento di aver avuto e a cui vorrei dedicare questo post, parlando di lui e raccontando la sua vita, una vita d’altri tempi in cui impegno e coraggio venivano messe a servizio dell’impegno culturale e della letteratura. Piccoli cenni autobiografici, solo per non dimenticare.
Carlo Muscetta (1912 Avellino–2004 Acitrezza), rappresenta una delle personalità critiche maggiori del nostro tempo, sia per l'elevata qualità dei suoi scritti che per l'arco temporale che ha attraversato nella sua vita di attento studioso della letteratura. Di formazione crociana, anche se si pone in maniera critica al crocianesimo, si accosta al pensiero critico di maestri quali Francesco De Sanctis, Luigi Russo e in seguito ad Antonio Gramsci. Avverte l'importanza di una critica che sia innanzitutto militanza, una militanza che egli vive con lo spirito marxista, anche se fu un "marxista eretico". La sua stessa vita è il simbolo della militanza, vita che l'ha visto protagonista non solo nelle più accese e importanti polemiche letterarie, ma soprattutto come oppositore del regime fascista e importante contestatore negli anni del movimento studentesco del '68 e dell'antinuclearismo degli anni '70.
Nella sua autobiografia in forma di lettere, in cui egli ripercorre la sua storia personale attraverso lettere indirizzate a personaggi familiari, noti e meno noti, si nota la grande passione politica e la grande fermezza di ideali che lo spingono fino a gesti estremi. Nel 1936, mentre insegnava in un liceo di Molfetta (BA), a causa di una lezione antiregime, perse il posto. Partecipò attivamente alla Resistenza e fu arrestato e rinchiuso nel carcere romano di Regina Coeli, con Leone Ginzsburg e Sandro Pertini. Scampato alle Fosse Ardeatine (perché l'ala del carcere dove era rinchiuso fu sfollata per motivi igienici qualche giorno prima), partecipò attivamente alla ricostruzione culturale degli anni della Liberazione e della ricostruzione postbellica. Condusse in Campania personalmente la campagna elettorale antimonarchica in vista del trionfale referendum (simpatici sono gli aneddoti che racconta proprio di quei giorni in cui andava a parlare ad un popolo che amava il re. Fra gli altri, ebbe un contenzioso con un giovane monarchico dal nome di Ciriaco De Mita). Iscritto nel '47 al PCI, fu tra coloro che diedero linfa vitale alle più importanti case editrici del tempo, quali l'Einaudi e la Feltrinelli, sia lavorando come consulente editoriale sia dirigendo le riviste letterarie più importanti di quegli anni. Ma all'interno del Partito comunista fu sempre un indipendente e non divenne mai uomo di partito. Dopo i fatti d'Ungheria, nel '56 fu fra i promotori del celebre documento di protesta ad opera degli intellettuali comunisti che si schierarono contro la linea di Togliatti, (Lettera dei 101).
Insegnò letteratura italiana nella Facoltà di Lettere di Catania, vivendo il '68 in prima persona a fianco del movimento studentesco. Fu tra i pochissimi docenti ai quali fu concesso di partecipare alle infiammate assemblee del movimento e con essi partecipò a un confronto dialettico molto importante. Ma il suo antiaccademismo lo porterà verso l'isolamento da parte dei docenti in Facoltà. Nel '74 fu chiamato a insegnare a Parigi fino al 1976, per poi essere chiamato a insegnare Sociologia della letteratura a Roma.
È stato anche autore di versi graffianti che egli indirizzò soprattutto a uomini della politica o a letterati, sia per polemizzare che per elogiare.
Lo ricordo seduto al tavolo della sua casa estiva di Acitrezza, col suo sorbetto al limone, i suoi occhi azzurri sempre vivaci, a commentare un verso di Caproni e ad emozionarsi ancora dialogando con un giovane laureando di Chaplin e della morte della critica militante italiana.

mercoledì 22 luglio 2009

dito medio

"Lei non ha capito niente perché lei è un uomo medio: un uomo medio è un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, razzista, schiavista, qualunquista. Lei non esiste... Il capitale non considera esistente la manodopera se non quando serve la produzione... e il produttore del mio film è anche il padrone del suo giornale... Addio."
Con queste parole, fatte pronunciare da Pier Paolo Pasolini al regista-Orson Welles, nella veste di attore del film mediometraggio La ricotta (1963) dopo aver letto una poesia di Pasolini ("Io sono una forza del passato...), si rivolge a un giornalista che tentava di intervistarlo, senza ovviamente comprendere né il senso delle parole del regista né dei versi della poesia.
Pasolini aveva ben compreso il pericolo dell’uomo medio, di quella medietà piatta che non vuole progredire, che rifugge la curiosità, che guarda la televisione e non sa che forma abbiano i libri. Che credono di conoscere e sprofondano nell’ignoranza. Giudicano con facilità la società senza davvero averne diritto a farne parte. Oltre 40 anni addietro Pasolini sapeva quali forme stava assumendo la società italiana che aveva dimenticato la resistenza e la dittatura per lanciarsi in quella corsa verso il denaro vuoto, in quella lotta continua all’avere, al possesso che avrebbe portato all’epica del consumismo a danno dell’etica e di una società giusta.
Sempre in questa perla di film, Welles/Pasolini a una precedente domanda del giornalista su cosa ne pensasse della società italiana, risponde: "Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d'Europa”. Forse ancora non era davvero così, ma lo spirito profetico e attento del regista italiano aveva compreso quale Italia si stava costruendo.
Vi lascio con una domanda. Chi è quell’uomo che ha costruito il suo impero economico, il suo potere politico portando avanti fino a estremizzarla la filosofia dell’uomo medio, facendo identificare la sua mancanza di alti ideali col pensiero comune dell’italiano? Se non trovate la soluzione, aprite le urne e controllate le schede.

martedì 21 luglio 2009

regno lombardo..veneto

C'è un leggero vento di scirocco che da mesi soffia insistentemente sulla nostra isola, non avvertibile con l'anemometro. È un vento che spinge il pacchetto di voti del nulla verso nuove conquiste di potere. Per adesso sono solo prove tecniche di fondazione di un nuovo regno politico e che fanno avvistare orizzonti già stancamente noti. Partito del Sud o Movimenti di presunta liberazione della Sicilia (da chi poi...?) nascondono progetti di grandeur che il nostro governatore porta avanti con spregiudicatezza preoccupante, facendo il gioco proprio dell'antimeridionalismo e della politica milanocentrica che da anni si va consolidando nelle scelte politiche nazionali.
Finora il saccheggio della Sicilia era avvenuto con le conquiste militari (dai Fenici agli spagnoli) o per gattopardismi o per accordo mafia-politica e conseguente spartizione della torta di denaro pubblico nazionale o europeo. Oggi tutto è più impalpabile, si nascondono ragioni di potere politico-economico dietro a vaneggianti idee di autonomismo e di riscatto etico del Mezzogiorno. Ma dietro la maschera zapatista del governatore c'è sempre lo stesso volto di ex Dc, di uomo di potere e per il potere. L'uomo che può spostare un numero considerevole di voti sia che si allei a destra sia che lo faccia a sinistra, proprio perché i suoi voti non hanno ideali ma solo contropartite.
Il pericolo che si avverte è quello di consegnare la Sicilia e parte del Sud, col consenso democratico dei cittadini, nelle mani delle solite clientele e a sostegno di una politica nazionale che azzoppi ancora di più l'economia meridionale. Qualche esempio concreto? La sciagurata scelta della costruzione dei rigassificatori o la disponibilità data per l'individuazione di siti per eventuali costruende centrali nucleari, fanno comprendere che la politica del governatore non è indirizzata alla salvaguardia dell'autentico patrimonio naturalistico siciliano ma si indirizza verso posizioni sposate dalla grande industria e dal capitalismo più aggressivo che però consentirà al nostro presidente di guadagnare potere politico personale a danno del siciliano che continuerà a respirare morte e a vedere scomparire natura e bellezza.
L'unico partito di cui si sente davvero bisogno è proprio quello che nessuno propone di fondare. Il partito della rivoluzione vera, del riscatto morale, delle scelte libere, europeista perché senza l'Europa la Sicilia, il Sud e l'Italia non andrebbero lontano. Altro che autonomia, federalismo.
Nei prossimi anni lentamente cominceremo a renderci conto del prezzo che andremo a pagare con la sciagurata e superficiale scelta del federalismo fiscale e di tutte queste politiche a danno reale di chi vive in città iperindebitate, senza servizi pubblici, senza infrastrutture, senza lavoro, senza prospettive e inquinate.
Scelte sbagliate e accolte entusiasticamente da Lombardo e dai suoi sostenitori. Un giorno bisognerà avere memoria, oggi bisognerebbe soltanto indignarsi e seppellire con una sonora risata chi tappezza la città con i manifesti della voglia di partito del sud. Talvolta basta solo una risata, per non piangere.

martedì 14 luglio 2009

sciopero



Questo blog aderisce alla protesta contro il decreto Alfano sulle intercettazioni, non solo per la parte riguardante le limitazioni sui reati da poter essere intercettati, ma particolarmente per la parte riguardante la sottile intimidazione contenuta nella legge col cosiddetto obbligo di rettifica entro le 48 ore. Legge che se approvata colpirebbe i giornalisti ma anche chi scrive o tiene siti internet e blogger. Il 14 si sciopera, a modo nostro. Anche questo è fare opposizione.

lunedì 13 luglio 2009

fossili

“La sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini”, parole il cui senso sembra trovare maggiore attualità adesso che quando le pronunciò Leonardo Sciascia. Talvolta non ci riflettiamo abbastanza ma la mancanza di veri intellettuali impegnati, di opposizione al potere (i Moravia, i Pasolini, gli Sciascia tanto per fare qualche nome) ha creato un vuoto talmente smisurato che l’impoverimento culturale e politico è diventato insopportabile in questo paese. E senza cultura una nazione non progredisce. Oggi chi scrive sente solo il rumore degli applausi e dei facili consensi che si trasformano in successo e denaro. Niente verità sgradevoli o pensieri controcorrente. E quando vanno in televisione lo fanno per promuovere se stessi (e il loro ultimo libro) e non per scuotere la passività dilagante. Clamore intorno al nulla, potrebbe essere la vera filosofia di queste emergenti generazioni di intellettuali del disimpegno.
Qualche riga di Saviano e si respira aria diversa, coraggio, partecipazione emotiva e rappresentazione della realtà in letteratura. E sette carabinieri a guardare le sue spalle 24 ore al giorno. Che sia anche questa l’insicurezza indotta che fortifica il potere?

domenica 12 luglio 2009

addii

Oggi voglio salutare per l’ultima volta un uomo e un giornalista che è scomparso, Enrico Escher. Molti di voi l’avranno dimenticato, perché la malattia per anni lo ha prima allontanato dal lavoro e poi lo ha confinato a una posizione di retrovia. L’ho conosciuto ai miei inizi di giornalista, io ventenne lui già affermato lavorava al tg di Antenna Sicilia. Con passione si è lasciato coinvolgere in un progetto di giornale universitario, partecipando attivamente alle riunioni di redazione, nonostante i suoi impegni di lavoro e senza mai prendere un centesimo per il lavoro al nostro piccolo giornale. Anzi mettendo la sua faccia e la sua firma per lanciare questo gruppo di aspiranti giornalisti con molte idee da mettere in ordine. Avere idee e credere in valori per un giornalista dell’area di Ciancio non era certo un merito e forse questo non lo ha agevolato nella propria carriera, soprattutto dopo che scelse di candidarsi alle elezioni per la coalizione di centro-sinistra. Ma Enrico se amava un’idea la sposava e non guardava mai all’utilitarismo personalistico e agli intrecci sotterranei che in questa città si devono avere per galleggiare ma col vento in poppa.
L’ultima volta che ho sentito Enrico è stato qualche mese addietro via mail. Abbiamo parlato di informazione, di progetti futuri e di Catania. Spero che questo blog servirà a ricordarlo e io porterò sempre la sua lezione mai pronunciata apertamente. Una lezione fatta di esempio e di umiltà e di rispetto delle idee e dei fatti. Ciao Enrico.

giovedì 2 luglio 2009

battiam battiam le mani

Ci sono immagini, fotogrammi e talvolta parole che cambiano per sempre il corso della storia e la fruizione che gli eventi rappresentano. Da quella ormai inflazionata dello studente pechinese anti carro armato a piazza Tienanmen a quelle quasi dimenticate quali per esempio l'omicidio di Rabin e la spirale senza fine che ha comportato per il travagliato processo di pacificazione per israeliani e palestinesi. Momenti, a colori e in bianco e nero a ricordarci che la storia la si può cambiare in pochi attimi.
Così l'arrivo di Berlusconi dopo la tragedia di Viareggio e l'accoglienza avuta, anche se ben oscurata dall'informazione italiana, mi ha fatto sentire che qualcosa era cambiata per sempre. Non era una contestazione organizzata, né facinorosi che fischiavano o insultavano, erano solo persone adulte che appena hanno sentito un gruppo di persone “devote” applaudire al passaggio del premier, hanno solo detto: “Ma che cosa applaudite?”. Cosa c'è infatti da plaudire a un capo del governo che ha fatto di ogni tragedia nazionale una perfetta vetrina per se stesso e il suo entourage? Dalla spazzatura napoletana al terremoto abruzzese e ora alla strage di Viareggio? Attraverso questi enormi lutti nazionali trova un palcoscenico da dove poter distrarre l'opinione pubblica sugli eventi che lo riguardano ma anche sui gravi problemi economici che non riusciamo ad affrontare e superare. Tutto ruota intorno solo all'autostima e chiunque non riesce a vedere bontà e grandezza dell'uomo è un disfattista o un comunista. Che sono ormai sinonimi. A proposito di storia, basterebbe sfogliare qualsiasi testo scolastico per trovare similitudini palesi in tanto populismo politico con il ventennio, in cui coloro che si opponevano alla politica di Benito erano dei nemici della patria, anzi della Patria. All'estero le idee su Berlusconi le hanno molto più chiare che da noi. Forse perché all'estero non possiede il monopolio dell'informazione, forse perché i giornalisti all'estero svolgono il loro mestiere con grande deontologia o forse soltanto perché solo allontanandosi da un luogo la visione d'insieme è più nitida. Persino Grossman, scrittore libero e al di sopra di ogni sospetto comunista, ha definito anomala la situazione italiana, in cui l'informazione non affronta determinate vicende sul premier mentre all'estero lo si fa tranquillamente. Informazione, non gossip.
Sono quelle persone, quegli uomini e quelle donne che al passaggio dell'imperatore non hanno sentito il bisogno di applaudire ma anzi hanno chiesto a chi lo faceva il motivo, che hanno interrotto inconsapevolmente un processo storico. Quelle centinaia di persone hanno cambiato un piccolo pezzo di storia italiana. Forse ce ne accorgeremo fra qualche settimana, più probabilmente fra qualche anno. Ma quando succederà dovremmo tenere a mente quelle parole, la rabbia che contenevano e la voglia e il diritto a vivere in una nazione normale, senza nani, ballerine e faccio tutto io. Dove magari non si muore a casa propria perché esplode un vagone di GPL o non si sbriciola la propria casa dopo una scossa di terremoto perché non è costruita secondo le norme antisismiche. E dentro di noi faremo posto a questa nuova istantanea, fatta di binari, corpi carbonizzati e palazzi frantumati, da mettere insieme ai picconatori del muro di Berlino e a Eltsin che arringa la folla sul carro armato.

martedì 23 giugno 2009

gli spari sopra

Qualche riflessione e tante domande di EDUARDO GALEANO, dal quotidiano "Il manifesto" del 7 maggio 2009.
Chi è terrorista? Colui che lancia le scarpe o colui che le riceve? Perché non sono in carcere gli autori delle stragi più feroci? Queste e tante altre domande sulla giustizia ingiusta nel mondo che funziona alla rovescia. È giusta la giustizia? È salda sulle sue gambe la giustizia del mondo alla rovescia? Il lanciascarpe dell'Iraq, colui che tirò le scarpe contro Bush, è stato condannato a tre anni di carcere. Non meritava invece una onorificenza? Chi è il terrorista? Colui che lancia le scarpe o colui che le riceve? Non è forse colpevole di terrorismo il serial killer che, mentendo, inventò la guerra dell'Iraq, assassinò un mucchio di gente, legalizzò la tortura e ordinò di utilizzarla? Secondo la rivista "Foreign Policy", la Somalia è il posto più pericoloso di tutti. Ma chi sono i pirati? I morti di fame che assaltano le navi, o gli speculatori di Wall Street, che da anni assaltano il mondo e adesso ricevono ricompense multimilionarie per le loro fatiche?
Perché mai sono intoccabili le cinque potenze che hanno il diritto di veto alle Nazioni Unite? Quel diritto ha forse un'origine divina? Vegliano forse sulla pace coloro che fanno gli affari della guerra? È forse giusto che la pace mondiale dipenda dalle cinque potenze che sono le principali produttrici di armi?
I padroni del mondo condannano la violenza solo quando la esercitano altri. E questo monopolio della violenza si traduce in un fatto inspiegabile per gli extraterrestri, e anche insopportabile per noi terrestri che, contro ogni certezza, vogliamo ancora sopravvivere: noi uomini siamo gli unici animali specializzati nello sterminio reciproco, e abbiamo sviluppato una tecnologia della distruzione che, en passant, sta distruggendo il pianeta e tutti i suoi abitanti.
I dittatori della paura. È la paura che fabbrica i nemici che giustificano lo spreco militare e poliziesco. E già che ci siamo con la pena di morte, perché mai non condanniamo a morte la paura? Non sarebbe forse sano farla finita con questa dittatura universale degli spaventatori professionali?
Perché non si legalizza la droga? Non è forse, come l'aborto, un tema di salute pubblica? E il paese con più drogati che razza di autorità morale possiede per condannare coloro che riforniscono la sua domanda? E perché i grandi mezzi di comunicazione, così consacrati alla guerra contro il flagello della droga, non dicono mai che proviene dall'Afghanistan quasi tutta l'eroina che si consuma al mondo? Chi governa in Afghanistan? Non è forse quello un paese militarmente occupato dal messianico paese che si attribuisce la missione di salvarci tutti?Perche' mai non si legalizzano le droghe una volta per tutte? Non sarà forse perché forniscono il pretesto migliore per le invasioni militari, oltre a fornire i guadagni più succulenti alle grandi banche che di notte lavorano come lavanderie? Adesso il mondo è triste perché si vendono meno auto. Una delle conseguenze della crisi mondiale è la caduta della prospera industria dell'automobile. Se avessimo qualche briciola di buon senso, e un pochettino di senso della giustizia, non dovremmo forse celebrare quella buona notizia? La diminuzione delle automobili non è forse una buona notizia, dal punto di vista della natura, che sarà un po' meno avvelenata, e da quello dei pedoni che moriranno un pochino meno?
A volte finiscono male le storie della Storia; ma lei, la Storia, non finisce. Quando dice addio, dice arrivederci.

lunedì 22 giugno 2009

cassa amica

Vi ricordate la mafia a Catania? Quella dei cavalieri dell’apocalisse, dei santapaola, dei cursoti, degli appalti della grande edilizia, degli intrecci mattone-cosche-voti-potere? Bene, qualcosa è cambiato nello scenario della nostra città. Non perché lo dicano i rapporti della magistratura, ma perché basta solo guardare intorno a noi e osservare ciò che sorge e capire che l’asse del potere economico da anni punta ad altro. Catania è una città che con l’hinterland arriva a sfiorare quota 900.000 abitanti, paesi dormitorio inclusi, e ha circa 7 centri commerciali di proporzioni enormi oltre ad aree commerciali immense quali quella di Misterbianco. Si dirà che la vocazione della città da sempre è stata quella commerciale, dei negozi, della vendita. Poi però si guarda al PIL della provincia, alla ricchezza delle famiglie, alla disoccupazione, ai soldi reali che possono essere spesi e ci si rende conto che questa è una città in crisi economica profonda da tantissimi anni. E allora come si spiegano le continue e persistenti aperture dei centri commerciali, dei centinaia di negozi dentro questi capannoni? Come si spiegano gli enormi parcheggi che non riescono a riempirsi nemmeno con la tredicesima appena intascata? Questo è la filosofia degli affari mafiosi di oggi. La mafia moderna si alimenta economicamente, oltre ai soliti canali della droga, del racket e dei sempre minori appalti (promessa del ponte sullo stretto escluso…), attraverso il riciclaggio, gli investimenti dell’alta finanza ma soprattutto le attività commerciali, turistiche e della ristorazione. Qualche sortita anche nella “munnizza”, ancora in maniera dilettantistica rispetto alla camorra, anche se ci sarà tempo anche in questo settore per perfezionarsi.
Aprire un centro commerciale è un affare per tutti. Per la politica che si trova a gestire un potenziale pacchetto di voti fatto di promesse di posti di lavoro, valorizzazione dell’area interessata, infrastrutture e spesso mazzette. Per gli abitanti del territorio, soprattutto se di aree rurali, che si vedono piovere possibilità di sviluppo economico (ma spesso solo iniziale e a breve termine). E soprattutto per la mafia che investe denaro illecito per ripulirlo con attività in giacca e cravatta.
Altro esempio sotto i nostri occhi? I grandi autosaloni d’usato e non, plurimarche, che hanno una gamma infinita di vetture, spesso con prezzi troppo convenienti, nati anche questi come funghi e diffusi a macchia d’olio, in particolar modo in provincia. Forse quei grandi supermercati a cielo aperto contengono più auto di quante ne circolano in strada. Si va dalle Smart alle Ferrari e molte volte a proporti le vendite sono persone che non sembrano conoscere il mercato o i modelli che espongono. Eppure il mercato dell’auto, soprattutto quello dell’usato, è totalmente stagnante. E persino le finanziarie che vengono proposte per l’acquisto non sempre sono le tradizionali del credito al consumo. Molte volte per venire incontro alle esigenze del cliente che ha problemi per l’accesso al credito, vengono proposte improbabili finanziarie, con tassi vicino all’usura, ma sempre disponibili a elargire denaro liquido, persino a protestati e cattivi pagatori. Anche qui qualcosa non torna, proprio in un periodo di crisi finanziaria mondiale. Mi sa che la mafia è l’unico motore attivo di questa crisi globale. Anzi sarebbe più corretto parlare di mafie, ma meglio non allargare troppo i rivoli del discorso per non perdere il filo di partenza.
Questi due macro esempi, sotto gli occhi di tutti, rappresentano il pericolo crescente di un nuovo intreccio criminale-politico, di una nuova ondata di denaro che compra potere, di potere che si serve del denaro per perpetuare se stesso.
Medesimo ragionamento lo si può estendere nelle attività dell’alta ristorazione e delle imprese turistiche quali i villaggi o i resort di lusso. Lì però la magistratura da un po’ di tempo ha iniziato a muoversi, affinando le tecniche investigative e d’analisi dei flussi economico-finanziari.
La politica sembra non accorgersi di questi pericoli, depotenzia gli strumenti d’indagine quali le intercettazioni che in questi ambiti sono l’unico strumento reale per portare alla luce questi intrecci. Se due uomini d’affari si mettono d’accordo illecitamente non lasciano una tracciabilità scritta, ma lo fanno dialogando. Così come la corruzione politica non avviene firmando un contratto ma parlandosi, spesso in codice. Ma in Italia oggi è prioritario evitare di far giungere i gossip telefonici dei potenti, sacrificando anche le notizie di reato.
Catania si sta trasformando in un immenso ipermercato dove persino le famiglie vengono portate in gita domenicale coi pullman, sostituendo la gita a Tindari con quella a Etnapolis. Si tenta persino di vuotare i portafogli già in rosso dei pensionati o di far crescere i nostri figli dentro queste scatole al neon, senza aria aperta e con parchi giochi a pagamento. Dovremmo invece essere consapevoli che ogni centesimo speso in maniera diretta o indiretta va a rimpinguare le casse delle famiglie mafiose che alimentano il loro potere e consentono alla peggiore classe politica nostrana di mantenere il potere assoluto e illimitato.
Tutti stanno a guardare tra la consueta indifferenza e indolenza. Si ha quasi paura ad intervenire per rompere questo intreccio perverso. Paura che questi continui flussi di denaro si esauriscano prendendo altre vie. Paura che questa droga economica possa far ritornare la città per strada, tra un negozio in via Umberto e la salumeria di fiducia, magari respirando all’aria aperta, col naso all’insù, per guardare oltre l’orizzonte di questa nuova prigionia.

sabato 20 giugno 2009

la scuolite

Piccole riflessioni su dialoghi di fine anno scolastico.
In Italia tutti sentono il bisogno di intervenire e commentare, quasi sempre con toni negativi, il lavoro a scuola e, più in generale, l’intero sistema scolastico. Chi parla dei ragazzi sempre più ignoranti, maleducati, di bullismo (spesso confondendo il bullismo con la delinquenza comune dei minori…ma in Italia la semplificazione e la banalizzazione non sono categorie negative nella pratica quotidiana). Tutta colpa della scuola. Parlano delle lunghissime vacanze dei docenti, della loro presunta impreparazione e talvolta anche delle psicopatologie di cui hanno sempre racconti nuovi e avvincenti. Un po’ come sul calcio, ogni italiano saprebbe come risolvere i mali atavici della scuola, saprebbe come reclutare i docenti e far diventare scienziati i nostri ragazzi. Tutta questa sapienza senza mai essere entrati in una classe, se non per prendere i loro figli o nei ricordi adolescenziali della loro scuola, ricordi che nulla o poco hanno a che vedere con la scuola e soprattutto con la società di oggi.
L’interesse per la scuola dovrebbe essere un elemento importante per la società, perché per i cittadini avere a cuore il miglioramento dell’intero sistema d’istruzione garantirebbe un’attenzione politica vera e efficace sulla scuola. E invece accade proprio il contrario. La scuola viene utilizzata come palestra demagogica proprio perché il livello della discussione generale è da gossip, da frasi fatte, da “ai miei tempi”, e via dicendo. E così il deleterio chiacchiericcio che, per esempio, si è sentito per anni da dilettanti dell’istruzione sul maestro unico ha aperto la strada alla controriforma sulla scuola primaria, di fatto vanificando un sistema d’insegnamento che garantiva risultati certi e che aveva consentito lo sviluppo di una didattica all’avanguardia. Nessun esperto di didattica, a nessun livello, ha mai sostenuto che il maestro unico, pardon “prevalente”, sia migliore dello sperimentato modulo. Migliorano solo le uscite ministeriali. Quindi tagli venduti per riforma. Ma dove erano tutti questi grandi intenditori del sistema scolastico? Nessuno che davvero si sia interessato, nessuno che abbia bloccato questa riforma che peggiorerà il livello di istruzione dei nostri ragazzi. E così per tutte le paventate o proposte di legge che quotidianamente vengono sfornate dal ministro che ama parlare ai gggiovani su Youtube.
Nel frattempo, nella scuola dell’infanzia, tovaglioli, acqua e materiale didattico sono totalmente a carico delle famiglie. E come si spendono le tasse dei contribuenti? Acquistando lavagne multimediali ipertecnologiche, da mettere in classi con banchi che non vengono cambiati da decenni, sedie diseguali e spugne portate da casa. Un po’ come dissetare gli assetati con lo champagne: alla fine resterà il mal di testa e ancora più sete di prima.
Potrei continuare con il finanziamento dei progetti più disparati, quasi completamente inutili, mentre le scuole restano senza fondi per attività efficaci quali sportelli didattici o corsi di recupero. O con l’obbligatorietà delle visite fiscali a carico dei bilanci asfittici delle scuole per controllare quei cialtroni dei docenti e tutti a plaudire, populisticamente.
La scuola è una cosa troppo seria per essere riformata nelle chiacchiere da ombrellone, tra le escort presidenziali e una lite da calciomercato. Lasciamo magari che Apicella ne scriva la musica, le parole ormai le conosciamo, sempre con lo stesso ritornello.

domenica 14 giugno 2009

felicittà

L'odore di un processo, quattro toppe di bitume sulle buche, due spiagge libere aperte per questa tiepida estate e la questione morale in questa città sembra essersi esaurita. Quel poco d'indignazione indotta dai due efficaci reportage di Reality e Report sembra essere svanita nel torpore di giorni senza sapore. Sommersa dal traffico, dai debiti, dai manifesti elettorali, da amministratori incapaci che hanno preso il posto di amministratori inquisiti e rinviati a giudizio, Catania è una città senza identità, senza progetto culturale, senza orgoglio sociale, senza colori. La città delle triple file in sosta, che fa dell'illegalità, della spittizza il modus vivendi, ha smarrito la via d'uscita da troppo tempo. Ma sonnecchia davanti al seltz al limone e preferisce parlare tutto il giorno di calcio o di briscola pazza. E quando si va a votare è come se si azzerasse tutto, come se non ci sia rispondenza diretta fra coloro che hanno saccheggiato e umiliato questa città e i soliti candidati che perennemente fanno il pieno di voti, non per bravura politica ma per rendita di posizione decennale, spesso tramandata da padre in figlio (Berretta, Trantino e Drago per far comprendere che è una malattia trasversale) o suocero e genero. Dai feudatari, ai viceré ai podestà e ai politici repubblicani non sembra ai piedi dell'Etna essere cambiato il modo di gestire il potere politico ed economico, con arroganza e protervia. Con qualche piccola parentesi di una Catania felix di brancatiana memoria, forse più vagheggiata che realmente esistente.
Dobbiamo smettere di lasciar scorrere questo fiume carsico di indifferenza e indolenza, pretendendo di essere trattati da cittadini e non da sudditi. Talvolta occorrerà mettere una croce nello spazio giusto, altre volte smettere di acquistare e leggere le non notizie del non quotidiano cittadino e sostenere le poche e combattive voci di libera informazione, altre ancora scendere in piazza e far sentire la propria voce. E avere memoria, come un elefante anzi come un liotru. Piccoli e semplici gesti, piccoli frammenti di rivoluzione per riconquistare la dignità perduta. Oltre i rattoppi sulle buche.

venerdì 12 giugno 2009

camping Italia

La grandezza di un paese si misura nella capacità che si ha di saper impostare una politica estera di qualità che possa guardare al futuro, senza dimenticare il passato e le storie degli uomini. Pubblico di seguito il commento di Marco Travaglio alla visita del dittatore libico, poche parole dietro la cartolina del nostro paese.
Un solo paese, nel mondo libero, poteva riservare gli onori di Stato a una tetra macchietta come il colonnello Gheddafi: il nostro. Un solo premier, nel mondo libero (anzi, semilibero), poteva non solo accogliere nelle più alte sedi istituzionali, ma addirittura baciare con trasporto un soggetto che fino a qualche anno fa foraggiava gruppi terroristici, cacciava ebrei, faceva abbattere aerei di linea come piccioni (Lockerbie, 270 morti), approntava armi di distruzione di massa (vere), bombardava l’Italia senza neppure centrarla: il nostro. Del resto, dal punto di vista coreografico, c’è un solo un leader al mondo che rivaleggi con Muammar Al Tappon quanto a ridicolaggine, tintura, fard, ombretto, per non parlare del corteo di «amazzoni», versione tripolina delle veline di Villa Certosa. Anche la concezione che i due hanno della democrazia è piuttosto simile, anche se milioni di gonzi italo-padani si erano illusi che Al Tapone fosse almeno uno sfegatato filoamericano, punta di diamante dell’«alleanza contro il terrorismo». Vederlo baciare chi sostiene che «bisogna capire le ragioni del terrorismo» e paragona gli Usa a Bin Laden e sentire Schifani definirlo «uomo di Stato» potrebbe creare qualche spaesamento in un elettorato minimamente avveduto. Dunque non quello del Pdl,che digerisce tutto, anche il fard. Ottimo, come sempre, il Pd che è riuscito a dividersi anche su Gheddafi, grazie all’encomiabile apporto di Mohammed Al Dalemah e del fido Alì Lah Torr, che hanno invitato il colonnello a concionare in Fondazione Italianieuropei. Ribattezzata per l’occasione Beduinieuropei.

giovedì 11 giugno 2009

non ne avremo mai abbastanza

Notizia di oggi è che quattro parlamentari sono indagati dalla Procura di Palermo nell'ambito dell'inchiesta sul “tesoro” di Vito Ciancimino. Coinvolti sono i parlamentari dell'UDC Salvatore VasaVasa Cuffaro, Salvatore Cintole, Saverio Romano e il parlamentare del PDL Carlo Vizzini. Dimenticavo, Vizzini è membro della commissione parlamentare antimafia, per completezza dell'informazione. I reati contestati sono concorso in corruzione aggravata dal favoreggiamento di Cosa nostra. Tutta questa inchiesta scaturirebbe dalle lunghe dichiarazioni del figlio di Ciancimino ai magistrati palermitani Ingroia e Di Matteo. Questa è la notizia. Cosa aggiungere? Ritengo superfluo evidenziare il ruolo importante che tali parlamentari hanno ricoperto e ricoprono. Ex governatore della Sicilia il pirotecnico Totò, coordinatore dell'UDC siciliano Romano e addirittura membro della commissione parlamentare antimafia l'ex ministro della prima repubblica Vizzini, che nelle ultime legislature si è rilanciato alla grande, nonostante Mani pulite...eppure queste persone, che sono sempre innocenti fino a condanna definitiva, non sono lì per discendenza reale o per volere divino, sono nostri legislatori perché sono stati eletti dal popolo, con numero di voti talvolta stratosferico. Sono lì a occuparsi di come combattere la Mafia perché siciliani come noi, nonostante tutto, li hanno eletti e continuano a eleggerli. Io credo che finché sarà solo la magistratura a porre un argine a simili uomini politici, sarà una sconfitta politico-culturale per la nostra terra. Più culturale che politica, anzi ancor più sociale. Non bastano le motivazioni del bisogno, del ricatto, dello scambio. Ci vuole “stomaco” a votare i Cuffaro, i Mannino, e aggiungerei per restare in ambito europeo i Mastella, i De Mita. Ci vuole stomaco o memoria corta. O forse solo colpevole disinteresse. Un po' come accorgersi solo stamani che è legge in Italia la riforma sulle intercettazioni. Nemmeno Andreotti e Lima hanno osato tanto. E la mafia ringrazia. In silenzio.

lunedì 8 giugno 2009

l'Europa vista dalla soffitta

Alcune considerazioni sul voto delle elezioni europee, al di là dei numeri e visti dal basso verso l’alto..
Da destra: inizia il dopo Berlusconi, non tanto per il mancato sfondamento del 40% sbandierato dal premier con la solita eleganza politica, ma per il fermento che ruota intorno a lui. Il governo continuerà a spostare il suo asse politico sempre più a Nord sia per la crescita della Lega sia per la mancanza di un partito governativo che faccia una seria proposta sul mezzogiorno che non sia demagogica o clientelare. Lombardo, il vero democlientelare, nonostante l’alleanza con quel simpatico e moderno statista di Storace, ottiene un pessimo risultato forse perché per le europee non bastano le buste della spesa. Si rifarà alla prossima tornata elettorale siciliana.
L’UDC cresce ma ha un progetto destinato a galleggiare e spesso è impresentabile visto cosa imbarca e presenta. Dietro il volto rassicurante per la signora tuttacasaechiesa e il professionista che vuole essere rassicurato, nasconde il peggio della politica italiana, da Cuffaro a Gianni e persino al saltimbanco Sgarbi. Fiato corto in attesa della prossima inchiesta giudiziaria.
Da sinistra: incredibile ma il 6,4% dei comunistelli non porterà neanche un deputato in Europa perché quei geni dei dirigenti, ognuno con motivazioni diverse e incomprensibili, hanno deciso di presentarsi divisi, senza parole. Unica differenza è che i rifondisti di Kinder Ferrero sembrano avere un progetto politico con la data di scadenza mentre Sinistra e libertà dovrebbe essere un progetto per il futuro, sempre che personalismi e arroccamenti non facciano naufragare anche questo progetto di rinascita della sinistra. Di Pietro e il suo partito sembrano veleggiare in un mare di consensi crescenti. Sarà ma legalità e qualunquismo non possono da soli portare consensi infiniti. Credo che dipenda dalla debolezza altrui a fare opposizione seria e dall’incapacità della sinistra a riprendere un vero percorso sociale, fatto di una nuova socialità e non sempre sospesa nel binomio fra padroni e operai, ricchi e poveri figli di una vetusta lotta di classe che non tiene conto delle dinamiche sociali e culturali degli ultimi decenni. Bravo il furbo Di Pietro ma credo che questo sia il suo massimo storico. Pannella e dintorni restano sempre col loro 2%, uno scoglio sicuro e costante da decenni a questa parte, nonostante l’ottima europeista Bonino, ma gli elettori sono spesso più attenti alle donne quando sono veline.
Chiudo col PD e col suo striminzito 25% che poteva anche essere inferiore. Sembra una zattera più che una corazzata che dovrebbe opporsi a Berlusconi e Lega. Ma c’è una nota positiva che finalmente i dirigenti hanno compreso che per fare politica bisogna affidarsi a chi la politica la sa fare cioè a un ex dc molto combattivo e pronto a fare davvero opposizione. Dalla soffitta un consiglio: cominciare a tessere una lunga tela di confronti per organizzare un’alleanza seria a sinistra altrimenti torneremo a essere opposizione per i prossimi 50 anni.
Ultima considerazione per gli elettori siciliani. Abbiamo mandato a casa Fava, uno dei migliori deputati della scorsa legislatura al parlamento europeo e rischiato di eleggere il mortadellaro Nino Strano. E la mia città sembra non essersene accorta, almeno dalla soffitta, almeno per oggi.