domenica 17 maggio 2009

elogio della bruttezza

Giorno 15 maggio, dopo mesi e mesi di preparazione mediatica, è stata inaugurata a Librino la porta della bellezza, altro faraonico progetto di Antonio Presti e della sua associazione Fiumara d’arte. Trovare paginoni dedicati da La Sicilia a eventi, personaggi, storie tutte in positivo, senza che queste siano pagate da terzi e sulla stessa linea editoriale incontrare radio, tv e giornali (persino quelli militanti e d’opposizione) tutti allineati al Prestipensiero mi ha spinto a cercare oltre, perché ho sempre avuto timore di quelle storie raccontate da tutti, sinistra/destra, laici/cattolici, uomo della strada/intellettuale, allo stesso modo, con le stesse parole.
Comprendo che parlarne in maniera negativa, oggi, sia la strada più impopolare da percorrere, ma ritengo un dovere raccontare i progetti di Presti in controcampo, dietro quella patina filantropica e paternalistica che avvolge ogni progetto che il nostro mecenate trapianta su Librino e sui ragazzi del quartiere.
Per alcuni anni ho lavorato ai progetti di Presti, a scuola da docente, e dopo un primo brivido di entusiasmo e di coinvolgimento passionale e idealistico, man mano che conoscevo tutti i passaggi realizzativi, i costi reali che ricadevano sulle scuole (sia economici che in risorse umane) e soprattutto la tangibile ricaduta sul territorio, sui ragazzi, sugli artisti e sull’associazione Fiumara ho iniziato a percepire che non si trattava di progetti per il quartiere ma progetti per Presti.
Potrei raccontare i notevoli sforzi delle scuole, lo stravolgimento delle attività didattiche a vantaggio di progetti talvolta davvero ridicoli (le 500 bandiere realizzate e installate lungo l’asse dei servizi, illeggibili per gli automobilisti e integre solo per qualche settimana e poi progressivamente distrutte e rovinate da vento e pioggia….) o più semplicemente troppo ambiziosi per essere davvero recepiti.
L’idea dell’arte come mezzo per superare distanze sociali, economiche e storiche fra le nostre periferie e il centro è qualcosa di idealmente positivo, la creazione di bellezza in un angolo del mondo brutto, sporco e cattivo dovrebbe riempire d’orgoglio e passione civile coloro che vivono, lavorano e credono in un futuro migliore per Librino e i suoi bambini, ragazzi. Però il modo in cui sono da sempre stati condotti questi progetti, dall’alto verso il basso, trapiantando modelli intellettualmente distanti e inintelligibili da chi è nato e cresciuto in questi luoghi, serve solo a cancellare dalla memoria collettiva le fogne a cielo aperto, la mancanza di spazi d’integrazione, i viali desolanti, l’urbanistica antisociale, l’illegalità più estrema e la marginalità di questi cittadini che rappresentano un ottimo serbatoio di voti e di consensi finalizzati sostanzialmente a mantenere il medesimo status quo.
Mi sono chiesto, in questi dieci anni di progetti di Presti, cosa è cambiato davvero a Librino? Dieci anni sono un tempo abbastanza lungo per misurare in termini di effettiva ricaduta la validità di idee per cambiare un quartiere. Nulla, non è cambiato nulla. Non sono cambiate le percentuali di dispersione scolastica, non è cambiato il tasso di microcriminalità minorile, non sono diminuiti gli eventi criminali, non è migliorato il quartiere e soprattutto la tanto ossessivamente ripetuta bellezza ha solo lambito queste strade, questi vialoni che sembrano infiniti e che non conducono più da nessuna parte. Ma non è cambiata soprattutto l’idea che i ragazzi hanno del quartiere, il modo di guardare i luoghi in cui vivono, le speranze, i sogni e le reali prospettive.
Dieci anni di scrittori, poeti, bandiere, spot, mattonelle e di spazi illimitati di visibilità per Presti più che per i bambini di Librino, talvolta neppure tanto consapevoli di ciò che andavano a svolgere, hanno trasformato questa annunciata rivoluzione incruenta in un carrozzone festante su cui salgono tutti, politici, giornalisti, dirigenti scolastici, artisti e i bambini come sfondo, quasi come fosse un tramonto patinato da cartolina. Poi la festa finisce, la porta sbiadisce, i politici vanno a contare i voti, i giornalisti a occuparsi di pubbliche relazioni, i dirigenti scolastici a progettare altre attività extracurriculari, e così tutti spariscono e restano solo i bambini cui nessuno può pretendere di insegnare la bellezza. Nessun artista, nessun Presti.
Mettere un po’ di colore artistico in un cavalcavia orribile è come incipriare il viso di una donna anziana, basta qualche ora e le rughe e gli anni ricompaiono più intense di prima.
Ho parlato con alcuni ragazzini che hanno partecipato all’inaugurazione, non ne ho trovato nessuno davvero entusiasta né del lavoro che hanno svolto per la bellezza né del risultato finale.
Forse a questi artisti si poteva chiedere di aprire scuole-bottega in cui insegnare un lavoro, si potevano chiedere ore e denaro per togliere concretamente i ragazzi dalla strada con progetti finalizzati alla creatività e alla consapevolezza dello studio e del lavoro come riscatto e rinascita sociale. Forse bisognerebbe tenere i riflettori accesi sul quartiere ogni maledetto giorno e non solo il 15 maggio. E la bellezza fiorirebbe da sola, dal basso, come ogni rivoluzione sociale che si rispetti.
Se tutto questo serve a trasmettere la bellezza, allora viva la sana bruttezza del quotidiano, la presunta bruttezza di quei bambini che nonostante tutto riescono a sorridere e a vedere nella vita il bello che nessuno gli impone di cercare. Un disegno non suggerito, uno sguardo poetico non copiato e tante piccole parole, spesso sgrammaticate, ma vere, concrete e profonde, unica porta non della bellezza ma per la bellezza. La bellezza che non scaturisce dalla bruttezza, ma che è il rovescio della stessa medaglia, per sognare un nuovo quartiere, domani ma non troppo.

domenica 3 maggio 2009

apriamo la soffitta

Dopo anni di collaborazioni a riviste, quotidiani e radio, sempre per passione civile e politica, ho deciso di aprire uno spazio in cui poter raccontare la mia città, e da Catania osservare e commentare in maniera libera e volutamente provocatoria e controcorrente la soporifera informazione che vorrebbe evitare di raccontare i fatti così come sono o che li racconta edulcorandoli, anestetizzandoli, rendendoli invisibili.
Queste pagine saranno sempre aperte a chiunque volesse aggiungere pensieri, riflessioni e lanciare temi o inchieste da condividere con i lettori, che mi auguro possano crescere nel tempo e arricchire così questo blog e dar voce quella parte di città che si sente in soffitta. E proprio dalla soffitta ho pensato che sia giusto osservare la città che scorre ma che si ingrotta, che fugge e sonnecchia avendo smarrito verità e cultura.
In soffitta spesso si trovano tesori di casa dimenticati, vecchi giocattoli, foto ingiallite e storie sotto la polvere. Questo è il mio intento, dissotterrare storie andate in soffitta troppo in fretta o togliere la polvere da eventi ormai irriconoscibili e tentare di restituire la giusta chiarezza.
E dalla piccola finestra di questa soffitta, da questa strana angolazione, da questo non luogo disegnare una nuova città. La nostra città. E non solo...