martedì 25 agosto 2009

la vera storia d'italia

Con piacere ospito l'articolo del magistrato-scrittore Giancarlo De Cataldo pubblicato sull'Unità di oggi, che evidenzia con efficacia quanto l'informazione che circola in Italia sia manipolata, faziosa e volutamente miope.

Ho fatto un giro su blog e siti di gente che non la pensa come me. Riporto ciò che ho letto: Don Giuseppe Diana non fu ucciso per il suo impegno contro i clan, ma perché custodiva armi. O, forse, per questioni di corna. Lo scrittore Saviano, che ne difende la memoria, di queste cose ne mastica poco: d’altronde, che cosa ci si può aspettare da uno come lui che per vendere qualche copia in più si è finto minacciato di morte dai Casalesi? Questa gente appartiene alla stessa genia dei Falcone - il giudice che si mise le bombe da solo all’Addaura e poi diede a un pentito suo protetto licenza di uccidere - dei Borsellino - che fece carte false per diventare Procuratore di Marsala e lucrare tutti gli indiscussi vantaggi dei Professionisti dell’Antimafia - e degli Impastato - quel terrorista capellone che saltò in aria mentre cercava di sabotare un treno.
Sono anni che un manipolo di sedicenti “intellettuali” di sinistra e qualche prete che farebbe meglio a sostituire alla toga il Libretto Rosso di Mao continuano a spacciare frottole per verità. Per fortuna, da un po’ il vento è cambiato. Sempre più persone «non la bevono», hanno finalmente capito di essere state ingannate da un’ossessiva e ridicola propaganda. E si vanno convincendo della necessità di riscrivere la storia d’Italia. Ora sanno che a Portella della Ginestra i contadini rossi esagerarono con i mortaretti. Sanno che il bandito Pisciotta e il banchiere Sindona soffrivano entrambi di una malattia alquanto diffusa nella Sicilia occidentale: l’allergia alla caffeina. Sanno che l’anarchico Valpreda fece saltare la BNA di Piazza Fontana e che il 2 agosto ’80 a Bologna - capitale dell’Emilia Rossa - non si vedeva in giro un camerata che è uno. Sanno che mafia, camorra e ’ndrangheta sono invenzioni di spregiudicati sceneggiatori e registi di Hollywood. Interessante, non vi pare?

venerdì 21 agosto 2009

la triplice intesa

Mi chiedo, ultimamente con maggiore frequenza, servono ancora i sindacati così come sono? Sia chiaro riconosco il valore storico dei sindacati, le battaglie per i diritti dei lavoratori, il prezzo elevato pagato dai sindacalisti in termini anche di vite umane oltre che quello morale e spesso economico, per le ritorsioni dei “padroni”, con la conseguente perdita del posto di lavoro.
La società oggi purtroppo ha preso un’altra via, il liberismo occidentale sempre meno incline a regole e leggi ha trionfato ai danni dei lavoratori grazie anche a un sindacato miope e più interessato a convivere col potere più che a lottare contro di esso, a cogliere i benefici di stare tutti a tavola per evitare guerre e barricate. Ma questi sarebbero tempi di lotta dura, di riconquista di diritti sempre più lesi e sempre meno garantiti. Sono tempi in cui è il sindacato che pronuncia parole quali flessibilità e precarizzazione. Di un sindacato così, non ne abbiamo bisogno.
Non abbiamo bisogno di un sindacato che come unica arma di contrasto ai governi utilizza la modalità dello sciopero, più o meno negli stessi periodi dell’anno e con le medesime modalità di risposta. Possibile che non ci sia altro mezzo di lotta alle politiche governative che non sia quella di far pagare ai lavoratori le giornate di lavoro per sciopero? Possibile che non si possa trovare un altro sistema? Inoltre, lo sciopero con le regole introdotte negli ultimi anni, col bene placito delle maggiori organizzazioni sindacali, è un’arma spuntata in partenza perché non crea disagi a nessuno visto che deve essere concordato prima e rispettando normative a vantaggio esclusivo degli utenti. Tutti noi ricordiamo gli scioperi selvaggi e a oltranza francesi, il blocco unico delle categorie per difendere anche soltanto i diritti di lavoratori poco tutelati. E i governi messi in ginocchio e costretti a tornare indietro. Ma vi immaginate in Italia milioni di persone che scendono a bloccare il paese per difendere i diritti lesi, per esempio, dei lavoratori dei call center? Siamo sicuri che dietro a tutto ciò non vi sia un’enorme colpa di conduzione della politica sindacale?
Un sindacato di governo o di effimera opposizione non è quello che serve in un paese come il nostro. Bisognerebbe avere un sindacato che ritorni ad avere idee e ideali, perché senza questi non si fa politica per i lavoratori ma solo politica spesso opportunistica.
Frequento il mondo sindacale da moltissimi anni e, salvo rare eccezioni peraltro marginali, non vedo fra sindacalisti persone preparate, motivate e che credono davvero in ciò che fanno. Si incontrano tanti inutili burocrati e nessun Rizzotto o Di Vittorio. E gli iscritti lo fanno più per consuetudine e per “non si sa mai che può succedere” che per convinzione e ideali.
Fra poco più di un mese inizierà il solito autunno caldo promesso dai sindacati. Immagino già una grandissima manifestazione a Roma, forse persino uno sciopero generale, interviste, canti, slogan, manifesti, fischietti e tanta vetrina per i leader, per poi il giorno dopo ritornare tutti a lavorare in condizioni sempre peggiori. Ancora qualche mese e sapremo se questo è un post pessimista o solo realista.

domenica 16 agosto 2009

decadentismi

Raccogliamo l'invito a diffondere sulla rete questa lettera anonima inviata a Tecnica della Scuola, che fotografa l'avvilente scenario imminente non solo per i docenti e gli studenti della scuola pubblica ma per il futuro dell'intera nazione.
"Nella calura agostana e nell'assordante silenzio mediatico il Governo sta per produrre il più grande licenziamento di massa nella storia della Repubblica. Da settembre ci saranno quasi 17 mila cattedre in meno per gli insegnanti precari. Tra pochi giorni, contando anche il taglio dei bidelli e degli amministrativi, ci saranno più di 20.000 disoccupati ad aggiungersi all'esercito crescente dei senza lavoro italiani. Le classi avranno meno docenti ma più alunni e saranno dunque a rischio sicurezza. Si prevede infatti che le classi dall'anno prossimo saranno mediamente composte da 26 bambini al­l’asilo, 27 alle elementari e 30 in medie e superiori con­tro una media europea di 15-20 studenti. Nonostante queste cifre il Ministro va da tempo ripetendo che in Italia ci sarebbero più insegnanti per studente rispetto alla media europea (una vecchia mezza verità, infatti non viene spiegato che nella conta questi signori mettono anche gli insegnanti di sostegno che in Europa non esistono, dato che il nostro è l'unico paese che ha fatto la scelta dell'integrazione dei diversamente abili nelle classi. Di fatto però le nostre sono le classi più affollate d'Europa). La scuola viene colpita come mai è stato fatto dal dopoguerra ad oggi e i mezzi di comunicazione parlano di realtà scolastica solo in riferimento alla pittoresca proposta leghista dei test di dialetto per i docenti, tutti i telegiornali riportano la decisa condanna della Chiesa della sentenza del Tar Lazio che preclude gli scrutini agli insegnanti di religione ed esclude l'ora di religione dalla valutazione globale degli studenti (dopo mesi di torpore la Santa Sede torna a condannare).I mass media danno risalto alla notizia del ricorso del Ministero contro la sentenza del Tar Lazio sugli insegnanti di religione. Mentre migliaia di docenti precari stanno per essere cacciati dalla scuola la preoccupazione della Gelmini è quella di mettersi subito sull'attenti per la Santa Sede e ricorrere a favore dei colleghi di religione che non rischiano nulla. La Gelmini ha affermato: “L'ordinanza del Tar tende a sminuire il ruolo degli insegnanti di religione cattolica, come se esistessero docenti di serie A e di serie B”. E i 17.000 docenti precari che verranno cacciati via il mese prossimo cosa sarebbero? Docenti di serie C? Il Ministro lo sa che i precari di religione sono gli unici tra i docenti precari ad avere lo stipendio assicurato e gli scatti di anzianità? Un licenziamento di massa nel settore più importante del Paese e nessuno alza la voce. Questo è davvero uno strano Paese."

martedì 4 agosto 2009

cattivi maestri

Dimenticare è un po’ come far morire di nuovo e cancellare uomini che in maniera diretta e indiretta ci hanno reso migliore la vita o lo sguardo su di essa. Sono trascorsi poco più di cinque anni dalla morte di Carlo Muscetta, uno dei veri maestri che sento di aver avuto e a cui vorrei dedicare questo post, parlando di lui e raccontando la sua vita, una vita d’altri tempi in cui impegno e coraggio venivano messe a servizio dell’impegno culturale e della letteratura. Piccoli cenni autobiografici, solo per non dimenticare.
Carlo Muscetta (1912 Avellino–2004 Acitrezza), rappresenta una delle personalità critiche maggiori del nostro tempo, sia per l'elevata qualità dei suoi scritti che per l'arco temporale che ha attraversato nella sua vita di attento studioso della letteratura. Di formazione crociana, anche se si pone in maniera critica al crocianesimo, si accosta al pensiero critico di maestri quali Francesco De Sanctis, Luigi Russo e in seguito ad Antonio Gramsci. Avverte l'importanza di una critica che sia innanzitutto militanza, una militanza che egli vive con lo spirito marxista, anche se fu un "marxista eretico". La sua stessa vita è il simbolo della militanza, vita che l'ha visto protagonista non solo nelle più accese e importanti polemiche letterarie, ma soprattutto come oppositore del regime fascista e importante contestatore negli anni del movimento studentesco del '68 e dell'antinuclearismo degli anni '70.
Nella sua autobiografia in forma di lettere, in cui egli ripercorre la sua storia personale attraverso lettere indirizzate a personaggi familiari, noti e meno noti, si nota la grande passione politica e la grande fermezza di ideali che lo spingono fino a gesti estremi. Nel 1936, mentre insegnava in un liceo di Molfetta (BA), a causa di una lezione antiregime, perse il posto. Partecipò attivamente alla Resistenza e fu arrestato e rinchiuso nel carcere romano di Regina Coeli, con Leone Ginzsburg e Sandro Pertini. Scampato alle Fosse Ardeatine (perché l'ala del carcere dove era rinchiuso fu sfollata per motivi igienici qualche giorno prima), partecipò attivamente alla ricostruzione culturale degli anni della Liberazione e della ricostruzione postbellica. Condusse in Campania personalmente la campagna elettorale antimonarchica in vista del trionfale referendum (simpatici sono gli aneddoti che racconta proprio di quei giorni in cui andava a parlare ad un popolo che amava il re. Fra gli altri, ebbe un contenzioso con un giovane monarchico dal nome di Ciriaco De Mita). Iscritto nel '47 al PCI, fu tra coloro che diedero linfa vitale alle più importanti case editrici del tempo, quali l'Einaudi e la Feltrinelli, sia lavorando come consulente editoriale sia dirigendo le riviste letterarie più importanti di quegli anni. Ma all'interno del Partito comunista fu sempre un indipendente e non divenne mai uomo di partito. Dopo i fatti d'Ungheria, nel '56 fu fra i promotori del celebre documento di protesta ad opera degli intellettuali comunisti che si schierarono contro la linea di Togliatti, (Lettera dei 101).
Insegnò letteratura italiana nella Facoltà di Lettere di Catania, vivendo il '68 in prima persona a fianco del movimento studentesco. Fu tra i pochissimi docenti ai quali fu concesso di partecipare alle infiammate assemblee del movimento e con essi partecipò a un confronto dialettico molto importante. Ma il suo antiaccademismo lo porterà verso l'isolamento da parte dei docenti in Facoltà. Nel '74 fu chiamato a insegnare a Parigi fino al 1976, per poi essere chiamato a insegnare Sociologia della letteratura a Roma.
È stato anche autore di versi graffianti che egli indirizzò soprattutto a uomini della politica o a letterati, sia per polemizzare che per elogiare.
Lo ricordo seduto al tavolo della sua casa estiva di Acitrezza, col suo sorbetto al limone, i suoi occhi azzurri sempre vivaci, a commentare un verso di Caproni e ad emozionarsi ancora dialogando con un giovane laureando di Chaplin e della morte della critica militante italiana.