sabato 19 novembre 2011

il museo dei naufraghi

Pubblichiamo uno splendido articolo di Claudio Fava, su una tragedia unama senza fine, per immaginare o sognare una nuova politica dell'accoglienza nel nostro Mediterraneo.

Tra i furti di memoria ci sono la vita e la morte dei quindicimila immigrati (probabilmente molti di più…) precipitati in fondo al Mediterraneo in questi anni di traversate a nuoto, di barche di cartapesta, di schiavisti e di becchini. Viaggi in mare che hanno spesso ridotto le speranze in disperazione trasformando quel braccio d’acqua che separa la Sicilia dall’Africa nella più grande fossa comune a cielo aperto.
Quindicimila – ma la cifra, ripetiamo, è abbozzata per difetto – vissuti e crepati senza lasciare traccia. Adesso un primo segno di quelle storie si potrà ritrovare a Genova, al Galata Museo del Mare che ospita da ieri la mostra “Memoria e migrazioni”, il racconto dell’immigrazione italiana sui bastimenti (ventinove milioni d’italiani che presero la via delle Americhe) e di quella straniera, cominciata nell’estate di molti anni fa con l’arrivo di ventimila albanesi nel porto di Bari, stipati come chiodi su un mercantile arrugginito, e tutti accolti a casa nostra, in una reazione d’umanità e di buon senso di cui s’è persa ormai ogni memoria.
Dal 1994 a oggi si calcola che siano arrivati in Italia, su canotti e barconi, almeno 350 mila persone. Di questo esodo da decine di paesi d’Africa e d’Asia fino a ieri non restava traccia né notizia: partiti, annegati, sbarcati, espulsi, accolti… comunque sia andata, sono tutti destini smarriti. Destini che l’esposizione di Genova tenta di ricostruire, recuperando e mostrando certi dettagli materiali, come la zattera su cui l’11 febbraio scorso sbarcarono a Lampedusa undici poveracci dopo sei giorni di navigazione delle coste della Libia. La prefettura di Agrigento, con zelo burocratico, voleva rottamarla: adesso è nel museo del mare e racconta, come solo i relitti sanno fare, cosa furono quei giorni, quanta tenacia e quanto dolore contennero.
La mostra di Genova prova a rimediare a un furto di memoria che, negli anni, è diventato un furto di identità. Ancora adesso in Tunisia, in Marocco, in Libia ci sono migliaia di famiglie che non hanno mai ricevuto notizia dalla loro gente partita per l’Italia: non sanno se siano mai arrivati vivi e poi si siano smarriti in quella nuova vita, se siamo morti in mare, se si siano semplicemente dimenticati di far sapere di loro. Non esiste un’anagrafe dei morti, dei dispersi, dei caduti in mare. Nessuno ha pensato di recuperare e conservare nomi e volti di quelle donne, di quei padri, di quei bambini, tutti militi ignoti, scomparsi senza nemmeno concedere la consolazione del lutto alle loro famiglie.
Certo, non saranno alcuni relitti o alcune foto a restituirci per intero questa memoria. Ma almeno ci dicono quanta violenza ci sia in quella parola, clandestini, che doveva indicare solo uno status giuridico ed ha finito per raccontare il modo silenzioso, clandestino, con cui i migranti hanno attraversato la soglia tra la vita e la morte, risparmiandoci perfino il turbamento che quei quindicimila corpi umani avrebbero preteso da noi.
Non so quanto durerà il governo del professor Monti, e nemmeno se nel profilo tecnico e istituzionale che s’è dato ci sarà posto per qualcosa in più d’una correzione ai conti dello Stato. La settimana scorsa ricordavamo il debito di verità che l’Italia ha accumulato in questi vent’anni, e che dovrebbe essere un naturale impegno di qualsiasi governo affrontare e risolvere. Ma la verità è parola lieve, troppo astratta per stare nel programma d’un nuovo esecutivo. Invece l’immigrazione, la sorte dovuta alle migliaia di forestieri che cercheranno nell’Italia il diritto a una speranza, la risposta che questo paese darà a ciascuno di loro, tutto questo è un tema più tangibile. Forse il puntiglio con cui il governo Berlusconi-Maroni ha considerato la fuga dalle guerre civili nel Maghreb solo una pratica d’ordine pubblico che andava evasa alla svelta con norme e procedure più punitive, oggi andrebbe corretto. I centri di detenzione in cui sono stati trasformati i vecchi Cpt e la pratica diffusa dei respingimenti collettivi meritano se non una menzione nelle dichiarazioni programmatiche almeno un gesto che ponga rimedio. C’è un buon ministro, Riccardi, che all’ascolto di quei popoli e alla sofferenza di quei luoghi ha dedicato, con la comunità di Sant’Egidio, molti anni del proprio lavoro. Sarebbe bello se andasse a Genova, come primo atto del suo nuovo mestiere, a rendere omaggio a quel relitto su cui hanno attraversato il Mediterraneo.

sabato 12 novembre 2011

se ne è andato

17 anni e tanti, troppi disastri. Un comico, con la sua numerosa claque, che ha trascinato questo paese verso la tragedia. Speriamo che ne sia rimasto il meno possibile intorno, ma ormai un po' di Berlusconi è in tutti noi. Adesso si dovrà ricostruire una nazione, non solo economicamente ma ridare storia, cultura e orgoglio al paese per ripensare una nuova repubblica. Ci vorrà tempo. Tempo e tanto coraggio. Ma la luce in fondo al tunnel adesso s'intravede. Oggi però, non mi va di percorrere quel tunnel, mi basta sapere che lo potrò fare. Assaporo questo nuovo 25 aprile, le macerie le sposteremo da domani.

lunedì 7 novembre 2011

un verso mancante

Si riapre il processo per l'assassinio di Pier Paolo Pasolini. In Italia, accade spesso che la verità e la giustizia abbiano tempi diversi. Arrivano le sentenze ma sono ben lontane dalla verità, nonostante questa sia spesso chiara ed evidente a tutti. Chi ha mai creduto che Pelosi, il bulletto di quartiere mingherlino possa avere massacrato da solo l'atletico poeta? Appunto, nessuno. Ma la verità è stata soffiata via da qualche oscuro suggeritore. Strana coincidenza anche per la strage di via D'amelio si è riaperto il processo, Scarantino poteva essere creduto solo da dilettanti e non dai professionisti dell'antimafia. Ma ci sono voluti decenni per capirlo. Un caso? L'Italia ha una lunga strada di sangue mai chiarita, una strada su cui è stata lastricata questa tremolante democrazia.
Si arriverà alla verità? Forse, ma che giustizia sarebbe dopo quasi un quarantennio? Giustizia e verità in democrazia dovrebbe camminare a braccetto. Appunto, in democrazia.
L'unica certezza è il vuoto intellettuale che la morte di Pasolini ha lasciato nel nostro paese.