sabato 30 aprile 2011

furti di memoria

Pubblichiamo un ricordo su Pio La Torre di Claudio Fava, un tassello di memoria perduta come esempio di buona politica per oggi e per domani.

Se Pio La Torre fosse tra noi, se potesse farci sentire la sua voce di campagna e di comizi, questa mattina – 29 anni esatti dalla morte sua - chiederebbe di non essere ricordato da certi vecchi compagni di partito che della lotta alla mafia hanno fatto un bel vocalizio, un rumore di cose finte. Chiederebbe a chi oggi stringe alleanze e camarille con un presidente di regione accusato di essere amico dei mafiosi di non venire a recitare l’atto di dolore nel posto in cui lui e Rosario Di Salvo proprio da Cosa Nostra furono abbattuti come agnelli al macello. Detto questo, che è cosa dovuta contro il peccato dell’ipocrisia (“Noi con Lombardo ci facciamo le riforme, che minchia c’entra la mafia?” dicono a Palermo i capi del Pd), il furto di memoria di cui ci vorremmo occupare non è la miseria di questo presente ma la disperata, illuminante forza del nostro passato.
Certo, il passato è anche il sorriso da lupo di Salvatore Riina quando chiedeva ai suoi di mettere da parte il tritolo che non si sa mai, in questo paese da operetta, che non tornasse utile per mandare al creatore qualche altro giudice rompicoglioni. Il passato sono le trame – antiche, conosciute, ma solo oggi beatificate – tra quelli della Magliana, i fascisti e i mafiosi (l’Italicus, il rapido 904…) che scopriamo saldati tra loro da menzogne e coperture innominabili. Il passato è il vizio di non dire mai o di dire a metà, parole che nascondono altre parole dentro, storie e profezie in una matassa di fili spezzati e irriconoscibili. Ma c’è anche un altro passato: il tempo vissuto da quelli come Pio La Torre, quelli di cui ci si occupa una volta l’anno per deporre corone di fiori e la mattina dopo li abbiamo già riposti in armadio, al buio, dentro sapori di naftalina.
Parliamo poco di loro. Non della loro morte ma della loro vita. Parliamo poco dello straordinario esempio di militanza civile che è stato per tutti (per i comunisti, ma pure per i democristiani, per i moderati di ogni parrocchia, per i senza dio) uno come La Torre. Che a vent’anni s’era fatto il suo bravo carcere, lungo e preventivo, per aver accompagnato i braccianti a prendersi un poco delle terre che gli amici dei mafiosi usavano per la gramigna e per la loro noia. La Torre, antico di parole e di temperamento, incazzoso, spigoloso, figlio di contadini e di miserie da feudo, fu straordinariamente moderno nelle intuizioni. Capì, meglio e prima di molti altri, che certe cose che altrove sembrano solo parole di carta, in Sicilia si fanno subito pietre. E quando anche il Pci gli spiegò che lui, da segretario regionale del suo partito, doveva far buon viso ai missili e agli americani di Comiso, La Torre organizzò laggiù la più grande manifestazione di massa e di piazza del dopoguerra, mettendo insieme cattolici e compagni, carusi e donne, pacifisti e antimafiosi. Non le tribù della politica ma quelle della vita, della rabbia di chi si sente sempre colonia e per un giorno ritrova l’orgoglio di dire di no.
Un milione di no ai missili Cruise. Forse l’ammazzarono per questo, per averci spiegato che su quei venti di guerra ci campavano pure i mafiosi: speculavano, compravano e vendevano, fabbricavano… Forse l’ammazzarono per quella legge che porta il suo nome e oggi serve, quando è usata bene, a lasciare in mutande i mafiosi, a togliergli case terre e orgoglio. Intuizioni: che mettevano insieme, trent’anni fa, le ragioni della pace e quelle della liberazione dalle mafie. In un tempo in cui l’opposizione in Parlamento aspetta di votare a favore dei bombardamenti in Libia (“…purchè siano in linea con lo spirito della risoluzione Onu...”), capite quanto fu precursore questo figlio di braccianti, questo vecchio comunista di Sicilia. Che oggi, ne siamo certi, non vorrebbe le parole che gli verranno regalate da chi ha barattato la sua memoria per un piatto di lenticchie alla Regione Siciliana.

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