venerdì 23 dicembre 2011

regalo di natale

Il nostro regalo a tutti i lettori del blog...

martedì 13 dicembre 2011

siculismi

Ci sono delle politiche concrete che incentivano il passaggio verso consumi energetici più sostenibili e a costi ridotti. Politiche di investimenti pubblici verso fonti rinnovabili o energie più pulite. Attraverso queste scelte d'investimento si giudicano i politici. Quelli siciliani, autonomisti a parole ed ecologisti al bar, non spendono un euro per queste politiche, da sempre. Eolico a parte, con decine di inchieste aperte. Persino gli incentivi per i mezzi a metano né le riduzioni di bollo, tasse di competenza regionale, hanno mai visto luce nella nostra regione. E abbiamo tre grandi raffinerie di petrolio che inquinano da decenni, senza aver mai avuto una giusta compensazione per i cittadini. Forse sarebbe meglio restituire l'autonomia, fino a quando non ce la meriteremo. Magari incartati coi politici che ci ostiniamo a eleggere per farci rappresentare.

lunedì 12 dicembre 2011

il viso dell'arroganza

Ci sono molteplici modi per sentire il peso del potere, di quella casta di intoccabili che credono ancora di essere nobili dell'ancien régime, solo privilegi senza diritti e, soprattutto, senza vergogne. In questo video, messo a disposizione dai ragazzi della Fabbrica di Nichi di Comiso, viene ripresa la corsa di alcune Ferrari nella pista dell'aeroporto di Comiso, non ancora aperto al traffico e al pubblico. Come una pista di automobiline per bambini. Un gioco che è come uno schiaffo per tutti coloro che da anni attendono che apra la pista per tutti, per il giusto uso che deve avere una pista d'aeroporto. Un giusto uso. E quale dovrebbe essere, dunque, il giusto uso per un sindaco che ritiene che quella pista non sia cosa pubblica ma solo cosa privata? Ogni siciliano saprà dare la giusta risposta, speriamo. E a voi lettori del blog, buona visione dell'arroganza.

lunedì 5 dicembre 2011

senza sinistra

Le ultime cose di sinistra, neanche leggi ma pensieri, idee sembrano ormai datate di trent'anni. Berlinguer, qualche anziano sindacalista, lo sguardo fiero di Pertini e poi tutto si è spento. Eppure il nostro è un paese che è entrato nel baratro economico, sociale, politico ma soprattutto etico per mancanza di un'adeguata politica sociale, accecati da promesse di ricchezza facile e opulenza da ostentare perdendo di vista prima i ceti deboli, poi quelli piccoli fino a quelli medi. Non un euro per la cultura, l'arte, l'istruzione anzi solo tagli, roba superflua. E noi a picco, sempre più ignoranti e mai concorrenziali col resto del mondo sviluppato. Orfani di ideali più che di uomini. Berlusconi ha fatto il resto. E adesso resta da svolgere il lavoro sporco, quello che nessun politico ha avuto il coraggio di portare avanti. Con l'appoggio persino di quello che resta di sinistra in questo parlamento. Strani tempi questi. E se per rilanciare il paese bastasse un semplice programma di governo che riparta da noi, dalla distribuzione delle ricchezze, da stipendi più decorosi, da politiche sociali reali? Utopie viste dai salotti dei banchieri. Ma non vi preoccupate, io sono fra quelli che quando vede Benigni che tiene in braccio Berlinguer, mi commuovo. Altri tempi.

sabato 19 novembre 2011

il museo dei naufraghi

Pubblichiamo uno splendido articolo di Claudio Fava, su una tragedia unama senza fine, per immaginare o sognare una nuova politica dell'accoglienza nel nostro Mediterraneo.

Tra i furti di memoria ci sono la vita e la morte dei quindicimila immigrati (probabilmente molti di più…) precipitati in fondo al Mediterraneo in questi anni di traversate a nuoto, di barche di cartapesta, di schiavisti e di becchini. Viaggi in mare che hanno spesso ridotto le speranze in disperazione trasformando quel braccio d’acqua che separa la Sicilia dall’Africa nella più grande fossa comune a cielo aperto.
Quindicimila – ma la cifra, ripetiamo, è abbozzata per difetto – vissuti e crepati senza lasciare traccia. Adesso un primo segno di quelle storie si potrà ritrovare a Genova, al Galata Museo del Mare che ospita da ieri la mostra “Memoria e migrazioni”, il racconto dell’immigrazione italiana sui bastimenti (ventinove milioni d’italiani che presero la via delle Americhe) e di quella straniera, cominciata nell’estate di molti anni fa con l’arrivo di ventimila albanesi nel porto di Bari, stipati come chiodi su un mercantile arrugginito, e tutti accolti a casa nostra, in una reazione d’umanità e di buon senso di cui s’è persa ormai ogni memoria.
Dal 1994 a oggi si calcola che siano arrivati in Italia, su canotti e barconi, almeno 350 mila persone. Di questo esodo da decine di paesi d’Africa e d’Asia fino a ieri non restava traccia né notizia: partiti, annegati, sbarcati, espulsi, accolti… comunque sia andata, sono tutti destini smarriti. Destini che l’esposizione di Genova tenta di ricostruire, recuperando e mostrando certi dettagli materiali, come la zattera su cui l’11 febbraio scorso sbarcarono a Lampedusa undici poveracci dopo sei giorni di navigazione delle coste della Libia. La prefettura di Agrigento, con zelo burocratico, voleva rottamarla: adesso è nel museo del mare e racconta, come solo i relitti sanno fare, cosa furono quei giorni, quanta tenacia e quanto dolore contennero.
La mostra di Genova prova a rimediare a un furto di memoria che, negli anni, è diventato un furto di identità. Ancora adesso in Tunisia, in Marocco, in Libia ci sono migliaia di famiglie che non hanno mai ricevuto notizia dalla loro gente partita per l’Italia: non sanno se siano mai arrivati vivi e poi si siano smarriti in quella nuova vita, se siamo morti in mare, se si siano semplicemente dimenticati di far sapere di loro. Non esiste un’anagrafe dei morti, dei dispersi, dei caduti in mare. Nessuno ha pensato di recuperare e conservare nomi e volti di quelle donne, di quei padri, di quei bambini, tutti militi ignoti, scomparsi senza nemmeno concedere la consolazione del lutto alle loro famiglie.
Certo, non saranno alcuni relitti o alcune foto a restituirci per intero questa memoria. Ma almeno ci dicono quanta violenza ci sia in quella parola, clandestini, che doveva indicare solo uno status giuridico ed ha finito per raccontare il modo silenzioso, clandestino, con cui i migranti hanno attraversato la soglia tra la vita e la morte, risparmiandoci perfino il turbamento che quei quindicimila corpi umani avrebbero preteso da noi.
Non so quanto durerà il governo del professor Monti, e nemmeno se nel profilo tecnico e istituzionale che s’è dato ci sarà posto per qualcosa in più d’una correzione ai conti dello Stato. La settimana scorsa ricordavamo il debito di verità che l’Italia ha accumulato in questi vent’anni, e che dovrebbe essere un naturale impegno di qualsiasi governo affrontare e risolvere. Ma la verità è parola lieve, troppo astratta per stare nel programma d’un nuovo esecutivo. Invece l’immigrazione, la sorte dovuta alle migliaia di forestieri che cercheranno nell’Italia il diritto a una speranza, la risposta che questo paese darà a ciascuno di loro, tutto questo è un tema più tangibile. Forse il puntiglio con cui il governo Berlusconi-Maroni ha considerato la fuga dalle guerre civili nel Maghreb solo una pratica d’ordine pubblico che andava evasa alla svelta con norme e procedure più punitive, oggi andrebbe corretto. I centri di detenzione in cui sono stati trasformati i vecchi Cpt e la pratica diffusa dei respingimenti collettivi meritano se non una menzione nelle dichiarazioni programmatiche almeno un gesto che ponga rimedio. C’è un buon ministro, Riccardi, che all’ascolto di quei popoli e alla sofferenza di quei luoghi ha dedicato, con la comunità di Sant’Egidio, molti anni del proprio lavoro. Sarebbe bello se andasse a Genova, come primo atto del suo nuovo mestiere, a rendere omaggio a quel relitto su cui hanno attraversato il Mediterraneo.

sabato 12 novembre 2011

se ne è andato

17 anni e tanti, troppi disastri. Un comico, con la sua numerosa claque, che ha trascinato questo paese verso la tragedia. Speriamo che ne sia rimasto il meno possibile intorno, ma ormai un po' di Berlusconi è in tutti noi. Adesso si dovrà ricostruire una nazione, non solo economicamente ma ridare storia, cultura e orgoglio al paese per ripensare una nuova repubblica. Ci vorrà tempo. Tempo e tanto coraggio. Ma la luce in fondo al tunnel adesso s'intravede. Oggi però, non mi va di percorrere quel tunnel, mi basta sapere che lo potrò fare. Assaporo questo nuovo 25 aprile, le macerie le sposteremo da domani.

lunedì 7 novembre 2011

un verso mancante

Si riapre il processo per l'assassinio di Pier Paolo Pasolini. In Italia, accade spesso che la verità e la giustizia abbiano tempi diversi. Arrivano le sentenze ma sono ben lontane dalla verità, nonostante questa sia spesso chiara ed evidente a tutti. Chi ha mai creduto che Pelosi, il bulletto di quartiere mingherlino possa avere massacrato da solo l'atletico poeta? Appunto, nessuno. Ma la verità è stata soffiata via da qualche oscuro suggeritore. Strana coincidenza anche per la strage di via D'amelio si è riaperto il processo, Scarantino poteva essere creduto solo da dilettanti e non dai professionisti dell'antimafia. Ma ci sono voluti decenni per capirlo. Un caso? L'Italia ha una lunga strada di sangue mai chiarita, una strada su cui è stata lastricata questa tremolante democrazia.
Si arriverà alla verità? Forse, ma che giustizia sarebbe dopo quasi un quarantennio? Giustizia e verità in democrazia dovrebbe camminare a braccetto. Appunto, in democrazia.
L'unica certezza è il vuoto intellettuale che la morte di Pasolini ha lasciato nel nostro paese.

sabato 22 ottobre 2011

senza cappuccio

A distanza di una settimana dalla manifestazione di Roma e dalla sua deriva violenta, alcune piccole considerazioni, fuori dalla retorica dilagante di questi giorni, possono essere esplicitate.
Prima, il dilettantismo degli organizzatori e soprattutto dei funzionari delle forze dell'ordine. Video, foto e testimonianze ci dimostrano che i "violenti" hanno avuto tempo per pianificare, organizzare sul campo e mettere in pratica tutta la devastazione perché intorno hanno lasciato fare, dolcemente...
Seconda, il clamore della violenza ha oscurato la manifestazione e le idee che ciascun partecipante sentiva di dover condividere. Così la politica democratica esce sconfitta a vantaggio della vuota scia che lascia la violenza. Se si vuole grossolanamente trovare un legame tra questa violenza e quella del terrorismo degli anni '70, la si può solo riscontrare nello spostamento di attenzione dai problemi sociali, economici e culturali che questi gruppi hanno ottenuto con il loro agire. Loro diventano il centro del dibattito politico mentre le giuste rivendicazioni finiscono schiacciate da questo perverso meccanismo.
Terza, la sinistra ancora una volta resta disorientata dagli eventi, testimone attonito, passando da dichiarazioni che profumano di dittatura giustizialista a inutili buonismi e spesso velate simpatie verso questi ragazzi. Sarebbe opportuno invece che, come suggerisce Vendola, si facesse carico della rabbia sociale di queste persone per costruire una autentica nuova prospettiva di ricostruzione politica e culturale nel nostro paese. La disperazione di chi non ha nulla o di chi non vede un futuro è cieca. E il numero di questo esercito di non vedenti cresce sempre più, fra l'ottusa indifferenza della classe politica che ci governa.
Quarta, la prossima manifestazione potrebbe essere l'ultima. Permanente, senza fine.

domenica 2 ottobre 2011

solite facce

Osservavo questi ultimi mesi di politica italiana e riflettevo: ma con quale faccia si ripresenteranno alle prossime elezioni? Una lunga lista di uomini e donne che nel loro piccolo sono esempi di  stili di politica che dovrebbero scomparire di morte naturale. I comprati, i venduti, i nominati e gli inetti.
Un volto, nessun voto. Ma poi pensavo, non sarà così. Si ricandideranno, ognuno nel loro orticello politico e, come per una inspiegabile alchimia, saranno ancora lì, presenti a timbrare il loro dorato cartellino, con la solita faccia. Come se nulla fosse accaduto. Impresentabili e rieletti.
Ma la faccia che vorrei vedere è quella di chi dentro l'urna avrà il coraggio di eleggerli, con o senza preferenza. La faccia di chi è, nel suo piccolo, responsabile di questo disastro senza fine.

sabato 24 settembre 2011

la parola al popolo

Il prossimo anno si andrà a votare per il nuovo sindaco di Catania, città devastata, mutilata e ritornata prepotentemente in mano all'affarismo e alla mafia, piccola o grande che sia oggi.
La politica dell'immobilismo, del far vedere poco o il meno possibile, ha comportato un arretramento continuo della città e dei suoi cittadini, con buona pace di chi aveva il dovere di scuotere le coscienze e di organizzare una proposta d'opposizione. Tutto tace, persino a pochi mesi dall'inizio della campagna elettorale.
La proposta di questa redazione è semplice. Iniziare a chiedere, sin da adesso, ai cittadini quale programma costruire per il rilancio della città e quale uomo/uomini per portarlo a termine.
Nomi e idee. Cose semplici, complesse per chi da troppo tempo per connivenza, sfiducia o rassegnazione ha fatto un passo indietro, politico ma principalmente di civiltà e di civismo.
Cerchiamo uomini e proposte, con l'aiuto dei nostri lettori, col passaparola. Da proporre e pretendere quando inizieranno a bussare alle nostre porte a chiedere un voto. L'unico che possediamo, quello libero.

giovedì 25 agosto 2011

annuvolamenti

Si sente il bisogno di poesia, di sogni di poeti che avrebbero vissuto con crescente sofferenza questi giorni. Ninetto, Totò e tutta la forza dirompente di una poesia scritta che attraverso il tempo con parole e immagini eterne. E' proprio tempo di poesia.

sabato 30 luglio 2011

il giusto peso


Una lezione senza tempo che dovremmo imparare e insegnare, per tutti quelli che hanno smesso di lottare e per tutti quelli che pensano che siano inutile lottare per cambiare. Per smettere di essere uomini di niente, perché l'indignazione e l'orgoglio non sono delegabili.

venerdì 17 giugno 2011

tutti al mare

Se esiste un canale indipendente e coraggioso in Italia questo è certamente Current Tv, canale 130 del palinsesto Sky. Ma la tv di Murdoch ha preso la decisione di cancellarla dal bouquet informativo per ragioni che non si possono ricondurre né ai profitti né agli ascolti. Quindi, perché? Qualcosa Al Gore l'ha detta, come sempre strane questioni politiche italiane che questo blog non vuole approfondire in questo post ma che fanno da solita cornice ad un paese che viene fatto sprofondare verso una deriva oligarchica e massonica. Ma questa è un'altra storia con cui faremo presto i conti, anche se qualche spiraglio di cambiamento e di partecipazione attiva dei cittadini ultimamente sembra esserci stata. Vedremo. Intanto viene sfilata nel silenzio assoluto questa importante finestra d'informazione. Noi seguiremo l'esito della questione che dovrebbe concludersi il 31 luglio, ultimo giorno previsto di messa in onda del canale. E poi? Continueremo a lottare e denunciare per difendere i nostri diritti costituzionali sempre più violati nell'indifferenza politica e sociale. Stasera Santoro col suo speciale sui 110 anni della Fiom andrà in onda proprio su Current tv, un'altra occasione per voltare pagina, anche se a furia di voltare pagine senza risultati effettivi, si rischia di chiudere il libro senza averlo davvero letto. Se dal primo agosto Current Tv dovesse sparire dalla tv italiana bisognerà spegnere le tv e magari non rinnovare gli abbonamenti a Sky. Ma chi se ne accorgerà in piene vacanze estive? Vedremo di ricordarlo tutti noi. E andare al mare un po' dopo, proprio come ai referendum.

mercoledì 1 giugno 2011

spot referendum sull'acqua

Il SI anche per abrogare la legge sulla privatizzazione della gestione dell'acqua ai privati

referendum 12 e 13 giugno

Questo blog ritiene indispensabile sostenere il prossimo referendum appoggiando le ragioni del SI
Eloquenti sono le parole Mario Tozzi relativi alla questione nucleare. Buona visione e buon voto a tutti

sabato 28 maggio 2011

democrazia italiana

E se la democrazia, almeno nella versione italiana, non fosse davvero la migliore forma di governo del paese? E' un dubbio legittimo se si vede lo stato comatoso in cui è scivolata l'Italia dagli anni '80 in poi. Il potere economico-finanziario (lobbies e massoni inclusi) ha preso pieno possesso del governo del paese attraverso un controllo capillare di banche, finanziarie, media e di tutti i centri nevralgici di confronto democratico. La conseguenza di tutto ciò è la paralisi del paese, l'incapacità di dare una svolta a una nazione in perenne falso conflitto ideologico, fra teatranti e figuranti. Un paese povero di denaro, idee, legalità, sogni. Cittadini giovani senza futuro, senza ricambio generazionale. Vecchi che non saranno mai anziani e ragazzi che non diventeranno mai giovani. Il potere perpetua se stesso, dietro a sigle e slogan sempre nuovi sempre uguali.
E ogni anno, all'incirca, si va a votare. Comune, provincia, regione, politiche, europee, referendum. Una scheda, talvolta persino due, tre e la chiamiamo democrazia.
A Catania non abbiamo un ricambio generazionale politico da quando sono bambino. Persino il centro della sinistra dal 1989 ha avuto e pare abbia ancora come unico candidato sindaco quasi sempre Enzo Bianco e il posto di Berretta l'ha preso Berretta figlio. Potere che si tramanda non per capacità ma per lignaggio, un feudalesimo mai morto. Anche a destra funziona allo stesso modo, forse ancora in maniera più evidente con suoceri che delegano il potere a generi, vecchi avvocati di grido che abbandonano la Camera dei deputati riservando il loro blindatissimo seggio a rampanti figlie. Questo rigido schema non riesco proprio a chiamarlo democrazia ma si può più propriamente definire putrida oligarchia che ha dimenticato non solo la costituzione ma credo persino la rivoluzione francese. I sudditi siamo noi. Chi lavora sopravvive a stento, gli altri precari o disoccupati non scorgono prospettive. Un tempo c'erano i sindacati, oggi fanno parte anche loro del potere senza aver bisogno di passare dalla porta di servizio.
Ma cosa stiamo aspettando? La migliore gioventù di questo paese ha lottato contro il fascismo e adesso che un nuovo fascismo è stato restaurato non vedo intorno a me partigiani.
Forse la mia è nostalgia per il paese che è stato o forse è solo il sogno per il paese che vorrei lasciare a mio figlio. Oh partigiano, portami via che mi sento di morir...

venerdì 6 maggio 2011

un nobel da restituire

La vicenda dell'uccisione di Bin Laden mi ha indotto a una riflessione: può un premio nobel per la pace essere orgoglioso di un'uccisione? Può l'omicidio di un criminale essere un tassello di pace per il mondo? Già i seguaci dello sceicco minacciano vendette e ritorsioni. Che senso ha? Vi immaginate i carabinieri che fermano Riina e dopo averlo identificato lo freddano brutalmente? Nessuno avrebbe insignito di onorificenze l'ufficiale macchiatosi di un crimine così grave. Perché di crimine si deve parlare, a meno che non pensiamo che a un crimine lo stato debba rispondere da criminale, in quel caso saremmo nel far west e non in uno stato di diritto. Diritti per tutti, persino per Bin Laden. Ma gli Usa che ipocritamente si sono da sempre autocandidati a paladini della democrazia e dei diritti umani nel mondo, utilizzano metodi da dittatura verso coloro che possono essere una piccola o grande minaccia per il loro paese. Come non ricordare la Baia dei Porci, l'appoggio a Pinochet contro il socialdemocratico Allende, le guerre civili indotte dalla Cia in Africa e in America latina, fino alle torture di Guantanamo. Non si tratta di scegliere fra Stati Uniti e Al Qaeda, fra le vittime di Ground Zero e Bin Laden, si tratta semplicemente di salvare l'uomo, di mettere la legge degli uomini dinanzi alla barbarie. Nessuna rincorsa alla legge del taglione ma il giusto diritto per ogni uomo. Qualcuno al promettente presidente nero dovrebbe rinfrescarglielo. Stridono con violenza le parole immaginifiche dei comizi elettorali che hanno lasciato sperare alla nascita di nuovi Stati Uniti con gli atti concreti del presidente Obama. Sarebbe stato un grande esempio di civiltà averlo arrestato e condotto davanti a un giusto processo, uno sguardo diverso di giustizia e non di vendetta.
A Stoccolma forse saranno già pentiti o forse è solo una di quelle storie di potere che doveva andare a finire così, happy end e musica dei marines in sottofondo.

sabato 30 aprile 2011

furti di memoria

Pubblichiamo un ricordo su Pio La Torre di Claudio Fava, un tassello di memoria perduta come esempio di buona politica per oggi e per domani.

Se Pio La Torre fosse tra noi, se potesse farci sentire la sua voce di campagna e di comizi, questa mattina – 29 anni esatti dalla morte sua - chiederebbe di non essere ricordato da certi vecchi compagni di partito che della lotta alla mafia hanno fatto un bel vocalizio, un rumore di cose finte. Chiederebbe a chi oggi stringe alleanze e camarille con un presidente di regione accusato di essere amico dei mafiosi di non venire a recitare l’atto di dolore nel posto in cui lui e Rosario Di Salvo proprio da Cosa Nostra furono abbattuti come agnelli al macello. Detto questo, che è cosa dovuta contro il peccato dell’ipocrisia (“Noi con Lombardo ci facciamo le riforme, che minchia c’entra la mafia?” dicono a Palermo i capi del Pd), il furto di memoria di cui ci vorremmo occupare non è la miseria di questo presente ma la disperata, illuminante forza del nostro passato.
Certo, il passato è anche il sorriso da lupo di Salvatore Riina quando chiedeva ai suoi di mettere da parte il tritolo che non si sa mai, in questo paese da operetta, che non tornasse utile per mandare al creatore qualche altro giudice rompicoglioni. Il passato sono le trame – antiche, conosciute, ma solo oggi beatificate – tra quelli della Magliana, i fascisti e i mafiosi (l’Italicus, il rapido 904…) che scopriamo saldati tra loro da menzogne e coperture innominabili. Il passato è il vizio di non dire mai o di dire a metà, parole che nascondono altre parole dentro, storie e profezie in una matassa di fili spezzati e irriconoscibili. Ma c’è anche un altro passato: il tempo vissuto da quelli come Pio La Torre, quelli di cui ci si occupa una volta l’anno per deporre corone di fiori e la mattina dopo li abbiamo già riposti in armadio, al buio, dentro sapori di naftalina.
Parliamo poco di loro. Non della loro morte ma della loro vita. Parliamo poco dello straordinario esempio di militanza civile che è stato per tutti (per i comunisti, ma pure per i democristiani, per i moderati di ogni parrocchia, per i senza dio) uno come La Torre. Che a vent’anni s’era fatto il suo bravo carcere, lungo e preventivo, per aver accompagnato i braccianti a prendersi un poco delle terre che gli amici dei mafiosi usavano per la gramigna e per la loro noia. La Torre, antico di parole e di temperamento, incazzoso, spigoloso, figlio di contadini e di miserie da feudo, fu straordinariamente moderno nelle intuizioni. Capì, meglio e prima di molti altri, che certe cose che altrove sembrano solo parole di carta, in Sicilia si fanno subito pietre. E quando anche il Pci gli spiegò che lui, da segretario regionale del suo partito, doveva far buon viso ai missili e agli americani di Comiso, La Torre organizzò laggiù la più grande manifestazione di massa e di piazza del dopoguerra, mettendo insieme cattolici e compagni, carusi e donne, pacifisti e antimafiosi. Non le tribù della politica ma quelle della vita, della rabbia di chi si sente sempre colonia e per un giorno ritrova l’orgoglio di dire di no.
Un milione di no ai missili Cruise. Forse l’ammazzarono per questo, per averci spiegato che su quei venti di guerra ci campavano pure i mafiosi: speculavano, compravano e vendevano, fabbricavano… Forse l’ammazzarono per quella legge che porta il suo nome e oggi serve, quando è usata bene, a lasciare in mutande i mafiosi, a togliergli case terre e orgoglio. Intuizioni: che mettevano insieme, trent’anni fa, le ragioni della pace e quelle della liberazione dalle mafie. In un tempo in cui l’opposizione in Parlamento aspetta di votare a favore dei bombardamenti in Libia (“…purchè siano in linea con lo spirito della risoluzione Onu...”), capite quanto fu precursore questo figlio di braccianti, questo vecchio comunista di Sicilia. Che oggi, ne siamo certi, non vorrebbe le parole che gli verranno regalate da chi ha barattato la sua memoria per un piatto di lenticchie alla Regione Siciliana.

lunedì 11 aprile 2011

precario mondo

Pubblichiamo con estremo piacere questa intensa istantanea sullo scivolamento progressivo verso la povertà, non solo economica ma soprattutto etica e di una difficile ricerca della felicità, non di una sola generazione ma di un universo sociale. Istantatea di Ascanio Celestini, dal Manifesto dello scorso 9 aprile 2011.

Un operatore di call center mi dice che qualche anno fa viveva al centro di Roma, divideva l’affitto con un amico e aveva tempo per suonare e andare in tournée. Si considerava un musicista e utilizzava il call center come sponda. Adesso sta in periferia con tre studenti, lavora full time per sopravvivere, non ha più tempo per suonare e comunque anche la richiesta di concerti è diventata così striminzita che non ci camperebbe. Mi dice “ho quasi cinquant’anni, non ho una famiglia e va a finire che torno a vivere con mia madre”. Allora dov’è la precarietà? Non è solo un problema di stage non pagati, di assunzioni a tempo determinato, di lavoro nero e licenziamenti facili. Mille e cinquecento euro al mese basterebbero se una famiglia ne pagasse duecento d’affitto. Basterebbero se una donna e un uomo avessero la certezza di lavorare fino al giorno della pensione. Basterebbero se il figlio di un operaio studiasse in una classe con meno di venti bambini, ricevesse una vera formazione che comprendesse le lingue straniere e la musica, la storia contemporanea e il teatro… Basterebbero se quella famiglia avesse attorno una comunità che la sostiene, un servizio sanitario che la cura quando sta male.
E invece l’operaio che pensava di essere assunto a tempo indeterminato vede in televisione un padrone col maglioncino che gli sfila i diritti da sotto i piedi, il sindaco (sedicente di sinistra) che va a giocarci a scopetta e prega il proprio partito di affiancarsi alla battaglia padronale. Porta il figlio in una scuola dove i suoi compagni sono così tanti che la maestra ci mette un mese per imparare i nomi, una scuola che funziona solo per l’impegno degli insegnanti che non hanno ancora mollato, che non sono ancora scoppiati per l’umiliazione continua alla quale sono esposti.
Un lavoratore è precario non solo per la precarietà del suo lavoro, ma soprattutto perché sono precari la scuola, la casa, l’assistenza sanitaria, i trasporti, l’informazione, la cultura, il cibo che mangia e l’acqua che beve, l’energia che consuma e i vestiti che indossa.
Invece io dico che la scuola è solo pubblica. Dico che la scuola privata è una questione privata, un’azienda che deve prendere due lire solo in quel paesino di montagna dove non è ancora stata costruita quella statale. Dico che accettare oggi una riduzione dei diritti in fabbrica significa che domani quei diritti si ridurranno ancora di più. Dico che se un lavoratore accetta di lavorare per uno stipendio ridicolo non fa solo una scelta personale, ma sta costringendo tutti gli altri ad essere sottopagati, così come un lavoratore che sciopera e ottiene il riconoscimento di un diritto, lo fa anche per quello che entra. Dico che seicento euro d’affitto per un monolocale seminterrato in periferia (c’era il cartello nella piazza della mia borgata fino a poche settimane fa) è un furto e quando la casa non si trova: la si occupa.
Dico che se acquisto un paio di scarpe sottoprezzo sto sfruttando un operaio e se compro a mio figlio un pallone cucito da un bambino della sua età dall’altra parte del mondo sono peggio di un pedofilo. Dico che se prendo l’acqua da bere al supermercato e uso quella potabile che esce dal mio rubinetto per lo sciacquone del cesso sono un pazzo pericoloso. Dico che non sono un uomo moderno se accetto la devastazione di una valle per farci passare un treno veloce che impiega un’ora di meno per portarmi in Francia: sono un criminale.
Penso a una donna del trentino che va al supermercato a comprare un chilo di mele cilene. Se quelle mele costano meno di quelle coltivate sotto casa sua è evidente che in Cile c’è un contadino sfruttato e uno del trentino che resta disoccupato, un aereo che inquina inutilmente l’oceano e una piccola frutteria che chiude.
Il lavoro era precario vent’anni fa. Oggi è la nostra visione del mondo ad essere precaria.
Io non cerco voti per le prossime elezioni, né tessere per la prossima campagna di tesseramento. Non ho bisogno di carne da macello per la prossima guerra umanitaria o vittime del destino per il prossimo terremoto. Non scendo in piazza per un lavoro a tempo indeterminato o per qualche centesimo che il ministero della cultura succhia dai serbatoi della benzina. Non voglio mettere all’ordine del giorno del prossimo consiglio dei ministri o del prossimo talk show, del prossimo monologo teatrale o della prossima canzonetta il solito discorso del giovane sottopagato o disoccupato.
Io dico che questo sistema violento mi fa paura e so che per liberarcene dobbiamo pacificamente far paura al sistema.

domenica 27 marzo 2011

non uno di meno

Ogni volta che un ragazzo muore in un incidente stradale con lo scooter a Librino e dintorni, temo di ritornare in classe e trovare un alunno in meno. Esuberanza, sfida delle regole, illegalità ma anche cattivo esempio familiare sono troppo spesso la causa principale di questi continui incidenti, anche mortali, che ogni giorno riempiono strade, ospedali e cimiteri. Una piccola guerra senza eserciti, senza divise e senza soprattutto elmetti.
Non servono parole, ci vorrebbero fatti concreti. Le istituzioni sono assenti, eccetto ritengo la scuola che dedica ore e ore all'educazione alla legalità, all'educazione civica, convivenza civile, persino preparazione ed esami del patentino per i ciclomotori (per non parlare di educazione sessuale, all'affettività, ecc. ma il discorso si allargherebbe troppo, perché dove lo stato non vuole arrivare scarica tutto sulla scuola, sempre a costo zero). Ma prevenire con qualche ora in classe non ha molto senso quando tutto intorno a loro è l'opposto di ciò che insegnano i loro prof. Pensate a quanti guidano super scooter senza patente o ancor peggio senza avere l'età, con l'ottusa complicità dei genitori che ritengono giusto che loro figlio possa sfrecciare già a 14 anni con moto progettate per maggiorenni. E i posti di blocco? Non ne vedo mai a San Cristoforo, né a Monte Po, pochi a Librino o a Zia Lisa. Solo in centro città, come dire: "La legge inizia da piazza Europa in poi, in periferia fate come meglio volete".
Quando muore un ragazzo così le responsabilità sono di tanti ma non di tutti. Tanti che non vogliono far nulla perché cambi la cultura di una città.
Domani farò l'appello con maggiore apprensione, sperando che tutti siano presenti.

mercoledì 2 febbraio 2011

sondaggismo

Uno dei segnali che hanno sancito il passaggio dalla prima alla seconda repubblica, dal Caf al berlusconismo, dalla politica delle tribune elettorali alle arene del "non mi interrompa...mi lasci finire...", non è il cambio dei contenuti del pensiero politico né della prassi della gestione del potere, ma l'invadenza delle percentuali che scaturistico dai sondaggi intorno e dentro alla politica. Dall'opportunità nel presentare una legge alla scelta del leader, tutto gira intorno a queste cifre. Non si compie un intervento politico che non preveda una ricaduta positiva per i partiti e questa ricaduta la si misura in maggioranza numerica, fino allo sconfinamento verso il populismo e alla demagogia ma creando danni seri alla democrazia e al buon senso. Si invoca la maggioranza degli italiani per giustificare scelte irragionevoli, incomprensibili e spesso deleterie per il paese. Persino chi è stato eletto dalla maggioranza in questo clima populista si sente al di sopra della legge, dimenticando che la legge viene amministrata per conto del popolo, tutto, persino per conto della minoranza. E la legge deve essere uguale per tutti, in democrazia. Questo lo sanno anche i bambini. Ma sapere in questa deriva politica non è importante, ciò che è fondamentale è contare, almeno un punto percentuale in più.
Ho imparato sin da ragazzo che la maggioranza decide, può governare ma non ha per questo ragione. Bisogna rispettare la maggioranza ma non correrle dietro.
Cambiare politica partendo dalle buone idee per migliorare questo paese dovrebbe essere l'obiettivo del postberlusconismo. Se così non fosse avrebbe davvero vinto lui e i suoi sondaggi taroccati e da taroccare.
Avere di nuovo il coraggio di andare controcorrente portando avanti idee e ideali anche quando la maggior parte del popolo non è o non sembra essere d'accordo. Avere il coraggio, per dirla alla Benigni, di dire fuori dai denti: "vaff... alla maggioranza".

martedì 25 gennaio 2011

in attesa di scuse

Avere memoria talvolta è indispensabile per comprendere questo paese. Nel 2008 ricordiamo le parole dell'allora leader Udc sulla sentenza nei confronti di Cuffaro: "Mi assumo la responsabilità politica" sulla candidatura blindata in Sicilia dell'ex governatore condannato per favoreggiamento a Cosa nostra e ha aggiunto che in caso di condanna definitiva "Sarei in condizione di chiedere scusa, ma deciderò al momento opportuno". Per noi è arrivato il momento opportuno, per Pierferdi evidentemente no. Chissà cosa dovrebbe accadere per chiedere scusa a noi siciliani rappresentati così al Senato. Ma la memoria latita in Sicilia.

domenica 23 gennaio 2011

i cannoli a Rebibbia

E se fosse il primo mattone di una casa della legalità? La decisione della cassazione sulla sentenza inerente l'ex governatore della Sicilia Totò Cuffaro apre una speranza verso la difficile strada verso la giustizia o sarà solo una goccia d'acqua sfuggita alle maglie dell'impunità e dell'arroganza del potere politico-mafioso? Il tempo ci dirà se Vasa-Vasa sarà l'unico uomo politico potente a scontare anni di galera per i suoi legami mafiosi o se questo sarà solo l'avanguardia di una reale risposta dello Stato nei confronti del potere contaminato e corrotto nei suoi vertici più elevati. Noi staremo sempre sulla soffitta ad ossevare, lottare e commentare fatti, sentenze, reazioni e nuovi eventuali percorsi. Oggi con una speranza in più.
Una parola anche per Totò. Consegnandosi ai carabinieri, ha dichiarato che le sentenze vanno rispettate e che ha la massima fiducia nella magistratura. Persino il mafioso Cuffaro rispetta le istituzioni più del nostro premier. Come dire, se ne vanno sempre i migliori.

sabato 1 gennaio 2011

un altro anno

Tutto scorre, senza quasi lasciar traccia. Una finanziaria dietro l'altra, una quasi crisi di governo dietro l'altra, nel mezzo manifestazioni, scioperi, centinaia di migliaia di uomini e donne che perdono il lavoro, studenti a cui viene sottratto il vero diritto allo studio e all'istruzione di qualità e infiniti capitoli negativi di un libro che sentiamo di aver già letto. Inettitudine di una politica decrepita incapace di ridisegnare un futuro per i suoi cittadini e cittadini incapaci di rovesciare questa politica che si regge da troppi anni su malaffare e corruzione morale.
A Catania questo clima di decadenza viene avvolto da un silenzio irreale ma che sembra però mettere d'accordo un po' tutti. Dunque, niente di nuovo. Persino i nostri post sembrano somigliarsi tutti, perché nulla cambia nonostante l'abisso in cui progressivamente stiamo sprofondando. Tutto scorre, dal capodanno al prossimo san silvestro. Buon 2011 a tutti.