venerdì 6 maggio 2011

un nobel da restituire

La vicenda dell'uccisione di Bin Laden mi ha indotto a una riflessione: può un premio nobel per la pace essere orgoglioso di un'uccisione? Può l'omicidio di un criminale essere un tassello di pace per il mondo? Già i seguaci dello sceicco minacciano vendette e ritorsioni. Che senso ha? Vi immaginate i carabinieri che fermano Riina e dopo averlo identificato lo freddano brutalmente? Nessuno avrebbe insignito di onorificenze l'ufficiale macchiatosi di un crimine così grave. Perché di crimine si deve parlare, a meno che non pensiamo che a un crimine lo stato debba rispondere da criminale, in quel caso saremmo nel far west e non in uno stato di diritto. Diritti per tutti, persino per Bin Laden. Ma gli Usa che ipocritamente si sono da sempre autocandidati a paladini della democrazia e dei diritti umani nel mondo, utilizzano metodi da dittatura verso coloro che possono essere una piccola o grande minaccia per il loro paese. Come non ricordare la Baia dei Porci, l'appoggio a Pinochet contro il socialdemocratico Allende, le guerre civili indotte dalla Cia in Africa e in America latina, fino alle torture di Guantanamo. Non si tratta di scegliere fra Stati Uniti e Al Qaeda, fra le vittime di Ground Zero e Bin Laden, si tratta semplicemente di salvare l'uomo, di mettere la legge degli uomini dinanzi alla barbarie. Nessuna rincorsa alla legge del taglione ma il giusto diritto per ogni uomo. Qualcuno al promettente presidente nero dovrebbe rinfrescarglielo. Stridono con violenza le parole immaginifiche dei comizi elettorali che hanno lasciato sperare alla nascita di nuovi Stati Uniti con gli atti concreti del presidente Obama. Sarebbe stato un grande esempio di civiltà averlo arrestato e condotto davanti a un giusto processo, uno sguardo diverso di giustizia e non di vendetta.
A Stoccolma forse saranno già pentiti o forse è solo una di quelle storie di potere che doveva andare a finire così, happy end e musica dei marines in sottofondo.

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