martedì 4 agosto 2009

cattivi maestri

Dimenticare è un po’ come far morire di nuovo e cancellare uomini che in maniera diretta e indiretta ci hanno reso migliore la vita o lo sguardo su di essa. Sono trascorsi poco più di cinque anni dalla morte di Carlo Muscetta, uno dei veri maestri che sento di aver avuto e a cui vorrei dedicare questo post, parlando di lui e raccontando la sua vita, una vita d’altri tempi in cui impegno e coraggio venivano messe a servizio dell’impegno culturale e della letteratura. Piccoli cenni autobiografici, solo per non dimenticare.
Carlo Muscetta (1912 Avellino–2004 Acitrezza), rappresenta una delle personalità critiche maggiori del nostro tempo, sia per l'elevata qualità dei suoi scritti che per l'arco temporale che ha attraversato nella sua vita di attento studioso della letteratura. Di formazione crociana, anche se si pone in maniera critica al crocianesimo, si accosta al pensiero critico di maestri quali Francesco De Sanctis, Luigi Russo e in seguito ad Antonio Gramsci. Avverte l'importanza di una critica che sia innanzitutto militanza, una militanza che egli vive con lo spirito marxista, anche se fu un "marxista eretico". La sua stessa vita è il simbolo della militanza, vita che l'ha visto protagonista non solo nelle più accese e importanti polemiche letterarie, ma soprattutto come oppositore del regime fascista e importante contestatore negli anni del movimento studentesco del '68 e dell'antinuclearismo degli anni '70.
Nella sua autobiografia in forma di lettere, in cui egli ripercorre la sua storia personale attraverso lettere indirizzate a personaggi familiari, noti e meno noti, si nota la grande passione politica e la grande fermezza di ideali che lo spingono fino a gesti estremi. Nel 1936, mentre insegnava in un liceo di Molfetta (BA), a causa di una lezione antiregime, perse il posto. Partecipò attivamente alla Resistenza e fu arrestato e rinchiuso nel carcere romano di Regina Coeli, con Leone Ginzsburg e Sandro Pertini. Scampato alle Fosse Ardeatine (perché l'ala del carcere dove era rinchiuso fu sfollata per motivi igienici qualche giorno prima), partecipò attivamente alla ricostruzione culturale degli anni della Liberazione e della ricostruzione postbellica. Condusse in Campania personalmente la campagna elettorale antimonarchica in vista del trionfale referendum (simpatici sono gli aneddoti che racconta proprio di quei giorni in cui andava a parlare ad un popolo che amava il re. Fra gli altri, ebbe un contenzioso con un giovane monarchico dal nome di Ciriaco De Mita). Iscritto nel '47 al PCI, fu tra coloro che diedero linfa vitale alle più importanti case editrici del tempo, quali l'Einaudi e la Feltrinelli, sia lavorando come consulente editoriale sia dirigendo le riviste letterarie più importanti di quegli anni. Ma all'interno del Partito comunista fu sempre un indipendente e non divenne mai uomo di partito. Dopo i fatti d'Ungheria, nel '56 fu fra i promotori del celebre documento di protesta ad opera degli intellettuali comunisti che si schierarono contro la linea di Togliatti, (Lettera dei 101).
Insegnò letteratura italiana nella Facoltà di Lettere di Catania, vivendo il '68 in prima persona a fianco del movimento studentesco. Fu tra i pochissimi docenti ai quali fu concesso di partecipare alle infiammate assemblee del movimento e con essi partecipò a un confronto dialettico molto importante. Ma il suo antiaccademismo lo porterà verso l'isolamento da parte dei docenti in Facoltà. Nel '74 fu chiamato a insegnare a Parigi fino al 1976, per poi essere chiamato a insegnare Sociologia della letteratura a Roma.
È stato anche autore di versi graffianti che egli indirizzò soprattutto a uomini della politica o a letterati, sia per polemizzare che per elogiare.
Lo ricordo seduto al tavolo della sua casa estiva di Acitrezza, col suo sorbetto al limone, i suoi occhi azzurri sempre vivaci, a commentare un verso di Caproni e ad emozionarsi ancora dialogando con un giovane laureando di Chaplin e della morte della critica militante italiana.

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