sabato 5 settembre 2009

scaglio la prima pietra

Da mesi il cattivo governo e la crisi economica hanno messo in ginocchio milioni di italiani, milioni di persone, che giorno dopo giorno perdono potere d’acquisto, dignità e pezzi dei propri sogni e desideri. Porte che si chiudono, speranze che si frantumano e una classe dirigente che blatera e che non rappresenta più questo nuovo immenso paese dentro il paese.
Giovani che non riescono a trovare un primo lavoro, sfruttati e forzatamente felici di riuscire a guadagnare elemosine senza alcuna tutela né contratto. Precari per la vita.
La scuola pubblica umiliata, con decine di migliaia di assurdi tagli al personale, risparmi sulla qualità dell’offerta formativa, docenti trattati da pedine da spostare di sede in sede, dimenticando continuità didattica, disagi e costi da sostenere per una mobilità mai richiesta. Nessun investimento in stipendi, in strutture scolastiche, in formazione. Nulla. Nessun investimento sulle nuove generazioni e sulla crescita del nostro paese.
E che dire degli operai, dagli insicuri cantieri edili dove spesso si lucra sul lavoro nero e sulle morti da cancellare in fretta e da ignorare, agli invisibili che perdono il lavoro in ogni settore per l’incapacità di manager plurimilionari e che scaricano i propri insuccessi sulle spalle dei lavoratori.
Banche che non sono più al servizio di idee imprenditoriali o a sostegno dei risparmiatori e dei piccoli investitori, ma che preferiscono prestare fiumi infiniti di denaro, spesso senza ritorno, alle solite industrie sostenute dalla mala politica e da una finanza che ingrassa solo se stessa con speculazioni sempre più vergognose.
Questo quadro, mancante peraltro di innumerevoli altri importanti tasselli, sembrerebbe porre le premesse per una imminente rivoluzione sociale, invece tutto tace, con pochi attutiti colpi di tosse. I media raccontano confondendo i fatti, disorientando più che informando. E gli egoismi di categoria fanno il resto, sotto gli sbadigli dei sindacati sempre più sulla difensiva e mai al contrattacco.
In una situazione storica come questa servirebbe un unico blocco sociale, una rivoluzione autentica che possa saldare interessi diversi nella forma ma simili nel contenuto.
Si gioca non solo il nostro futuro, ma quello dei nostri figli e nipoti, si gioca una partita decisiva fra un nuovo progresso sociale, etico ed economico su cui edificare un nuovo paese, differente dal moribondo di adesso che poggia su basi fradice e che si sorregge su cariatidi impresentabili e incapaci di risolvere le esigenze e le istanze dei nostri giorni.
Senza la dignità del lavoro, senza una scuola competitiva e priva di risorse umane ed economiche, senza leggi laiche che garantiscano i diritti di tutti i cittadini, senza il rispetto degli “ultimi”, siano essi migranti, omosessuali, poveri, non ci potrà mai essere uno stato democratico e moderno al passo con le nazioni più progredite e competitive.
Un blocco unico in cui ritrovare i visi dei ragazzi sfruttati dei call center e degli operai pericolanti arrampicati sulle impalcature, dalle maestre senza alunni agli alunni senza sogni, dai pensionati col frigo vuoto alle casalinghe senza spesa, e così via a riempire le strade, e a colorare queste spente città dove è più facile incontrare la rassegnazione che la speranza. Tutti sotto un unico striscione, senza sigle di categoria, per un’unica categoria, quella umana. Altrimenti pioveranno pietre, sempre più dure.

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