lunedì 22 giugno 2009

cassa amica

Vi ricordate la mafia a Catania? Quella dei cavalieri dell’apocalisse, dei santapaola, dei cursoti, degli appalti della grande edilizia, degli intrecci mattone-cosche-voti-potere? Bene, qualcosa è cambiato nello scenario della nostra città. Non perché lo dicano i rapporti della magistratura, ma perché basta solo guardare intorno a noi e osservare ciò che sorge e capire che l’asse del potere economico da anni punta ad altro. Catania è una città che con l’hinterland arriva a sfiorare quota 900.000 abitanti, paesi dormitorio inclusi, e ha circa 7 centri commerciali di proporzioni enormi oltre ad aree commerciali immense quali quella di Misterbianco. Si dirà che la vocazione della città da sempre è stata quella commerciale, dei negozi, della vendita. Poi però si guarda al PIL della provincia, alla ricchezza delle famiglie, alla disoccupazione, ai soldi reali che possono essere spesi e ci si rende conto che questa è una città in crisi economica profonda da tantissimi anni. E allora come si spiegano le continue e persistenti aperture dei centri commerciali, dei centinaia di negozi dentro questi capannoni? Come si spiegano gli enormi parcheggi che non riescono a riempirsi nemmeno con la tredicesima appena intascata? Questo è la filosofia degli affari mafiosi di oggi. La mafia moderna si alimenta economicamente, oltre ai soliti canali della droga, del racket e dei sempre minori appalti (promessa del ponte sullo stretto escluso…), attraverso il riciclaggio, gli investimenti dell’alta finanza ma soprattutto le attività commerciali, turistiche e della ristorazione. Qualche sortita anche nella “munnizza”, ancora in maniera dilettantistica rispetto alla camorra, anche se ci sarà tempo anche in questo settore per perfezionarsi.
Aprire un centro commerciale è un affare per tutti. Per la politica che si trova a gestire un potenziale pacchetto di voti fatto di promesse di posti di lavoro, valorizzazione dell’area interessata, infrastrutture e spesso mazzette. Per gli abitanti del territorio, soprattutto se di aree rurali, che si vedono piovere possibilità di sviluppo economico (ma spesso solo iniziale e a breve termine). E soprattutto per la mafia che investe denaro illecito per ripulirlo con attività in giacca e cravatta.
Altro esempio sotto i nostri occhi? I grandi autosaloni d’usato e non, plurimarche, che hanno una gamma infinita di vetture, spesso con prezzi troppo convenienti, nati anche questi come funghi e diffusi a macchia d’olio, in particolar modo in provincia. Forse quei grandi supermercati a cielo aperto contengono più auto di quante ne circolano in strada. Si va dalle Smart alle Ferrari e molte volte a proporti le vendite sono persone che non sembrano conoscere il mercato o i modelli che espongono. Eppure il mercato dell’auto, soprattutto quello dell’usato, è totalmente stagnante. E persino le finanziarie che vengono proposte per l’acquisto non sempre sono le tradizionali del credito al consumo. Molte volte per venire incontro alle esigenze del cliente che ha problemi per l’accesso al credito, vengono proposte improbabili finanziarie, con tassi vicino all’usura, ma sempre disponibili a elargire denaro liquido, persino a protestati e cattivi pagatori. Anche qui qualcosa non torna, proprio in un periodo di crisi finanziaria mondiale. Mi sa che la mafia è l’unico motore attivo di questa crisi globale. Anzi sarebbe più corretto parlare di mafie, ma meglio non allargare troppo i rivoli del discorso per non perdere il filo di partenza.
Questi due macro esempi, sotto gli occhi di tutti, rappresentano il pericolo crescente di un nuovo intreccio criminale-politico, di una nuova ondata di denaro che compra potere, di potere che si serve del denaro per perpetuare se stesso.
Medesimo ragionamento lo si può estendere nelle attività dell’alta ristorazione e delle imprese turistiche quali i villaggi o i resort di lusso. Lì però la magistratura da un po’ di tempo ha iniziato a muoversi, affinando le tecniche investigative e d’analisi dei flussi economico-finanziari.
La politica sembra non accorgersi di questi pericoli, depotenzia gli strumenti d’indagine quali le intercettazioni che in questi ambiti sono l’unico strumento reale per portare alla luce questi intrecci. Se due uomini d’affari si mettono d’accordo illecitamente non lasciano una tracciabilità scritta, ma lo fanno dialogando. Così come la corruzione politica non avviene firmando un contratto ma parlandosi, spesso in codice. Ma in Italia oggi è prioritario evitare di far giungere i gossip telefonici dei potenti, sacrificando anche le notizie di reato.
Catania si sta trasformando in un immenso ipermercato dove persino le famiglie vengono portate in gita domenicale coi pullman, sostituendo la gita a Tindari con quella a Etnapolis. Si tenta persino di vuotare i portafogli già in rosso dei pensionati o di far crescere i nostri figli dentro queste scatole al neon, senza aria aperta e con parchi giochi a pagamento. Dovremmo invece essere consapevoli che ogni centesimo speso in maniera diretta o indiretta va a rimpinguare le casse delle famiglie mafiose che alimentano il loro potere e consentono alla peggiore classe politica nostrana di mantenere il potere assoluto e illimitato.
Tutti stanno a guardare tra la consueta indifferenza e indolenza. Si ha quasi paura ad intervenire per rompere questo intreccio perverso. Paura che questi continui flussi di denaro si esauriscano prendendo altre vie. Paura che questa droga economica possa far ritornare la città per strada, tra un negozio in via Umberto e la salumeria di fiducia, magari respirando all’aria aperta, col naso all’insù, per guardare oltre l’orizzonte di questa nuova prigionia.

Nessun commento: